In difficoltà finanziaria come altri paesi europei, Cipro ha chiesto aiuto alle autorità comunitarie, ma non solo. Il governo si è rivolto anche alla Russia, come ha ammesso nei giorni scorsi il presidente della Repubblica Demetris Christofias parlando a un gruppo di giornalisti basati a Bruxelles e in visita a Nicosia. La scelta è controversa. Sta creando imbarazzo in una Europa che vorrebbe – se possibile – gestire la crisi debitoria da sola, senza l'aiuto di altri (anche se quando fu creato il fondo di stabilità europeo alcuni responsabili comunitari andarono in Cina per chiedere a Pechino di investire nell'EFSF). Ufficialmente, il governo cipriota spiega che la Russia è un "paese amico", con il quale condivide tra le altre cose la religione ortodossa. Per di più, sono circa 30mila i russi che abitano sull'isola. In realtà, i motivi sono anche altri. Il paese vorrebbe evitare di sottomettersi a un memorandum economico negoziato con la Commissione, la Banca centrale europea e il Fondo monetario internazionale. In parte perché non crede che il metodo dell'austerità gli possa essere realmente utile. In parte perché la stessa Russia gli potrebbe offrire un prestito a tassi d'interesse più bassi di quelli europei. La reazione è un nuovo segnale di assertività del Sud contro le politiche imposte dal Nord. In una conferenza stampa a Nicosia, Christofias, 65 anni, ha affermato: “Non accetteremo le raccomandazioni della Troika senza discutere. Vi sono abitudini che appartengono alla tradizione di politica economica di Cipro su cui non transigeremo”. Tra le altre cose, il presidente si è riferito all’indicizzazione dei salari che secondo lui ha garantito “il consenso sociale” in questo paese.
Commentava qualche giorno fa a Nicosia Andreas Paraschos, direttore del quotidiano Kathimerini Cyprus: “La sola parola memorandum è sinonimo a Cipro di crisi greca. La gente associa un prestito proveniente dall’Europa a un’improvvisa povertà e già si vede frugare nei rifiuti per sfamarsi”. Il paese è uno stato di nuova sovranità. Per secoli l’isola, situata a 40 chilometri dalle coste siriane e a 100 chilometri da quelle libanesi, è stata dominata, prima dai veneziani, poi dagli ottomani, poi dagli inglesi. E’ diventata indipendente nel 1960. Appena 15 anni dopo è stata vittima di un colpo di stato greco ed è stata invasa dall’esercito turco, che tuttora occupa oltre il 30% del territorio. Ancora oggi l'isola ospita due basi militari inglesi che provocano nell'establishment sentimenti contrastanti. L’adesione all’Unione Europea, nel 2004, è stata un modo tra le altre cose per affrancarsi dai suoi vicini più ingombranti, la Grecia e la Turchia, e godere dell’ombrello europeo, in una regione del mondo segnata da una ricorrente instabilità politica. Il paese ha poi bruciato le tappe, entrando nella zona euro nel 2008. Cipro ha visto nell’adesione europea (anche) un modo per chiudere con il passato delle dominazioni straniere. Oggi però c’è chiaramente a Nicosia il timore che a dominare il paese possa essere l’Unione Europea. Improvvisamente, la stessa Europa che ieri era lo strumento per liberarsi dal giogo greco o turco è diventata un possibile pericolo. Stretta tra i suoi vicini e le istituzioni comunitarie, Cipro tenta di quadrare il cerchio, cercando aiuto a Mosca, se non addirittura a Pechino. Forse in fin dei conti l’isola scoprirà che l’Europa dopotutto è una soluzione politicamente meno pericolosa. Nel frattempo, però, i segnali provenienti da Nicosia contribuiscono alle divisioni europee e a una confusa immagine dell'Unione.
(Nella foto, il presidente della Repubblica di Cipro Demetris Christofias. Eletto nel 2008, ha fatto carriera nel movimento comunista AKEL, il Partito Progressista dei Lavoratori)
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