Ormai il dibattito delle ultime settimane ha contribuito a mettere finalmente le carte sul tavolo. Il futuro della zona euro, in bilico tra integrazione e disintegrazione, passa per una cessione di sovranità dalla periferia al centro. In questi giorni si discute di una unione bancaria e di un fondo di redenzione del debito. Nei due casi, la Germania, per fare un esempio, non accetterà di garantire i depositi bancari dei suoi vicini o di mutualizzare parzialmente i debiti pubblici senza che autorità sovranazionali possano intervenire sulle politiche nazionali. Fra molti tira-e-molla, i tedeschi si sono già detti pronti a questo passaggio. Lo hanno fatto attraverso una sentenza della Corte costituzionale di Karlsruhe del settembre 2011 e poi ancora nei giorni scorsi con un lungo discorso del ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble in cui ha chiesto la nascita di una unione politica (si veda il post precedente). La Francia souverainiste per tradizione non ha ancora fatto questo passaggio. Alla fine del 2011, l'allora presidente Nicolas Sarkozy aveva escluso qualsiasi trasferimento di sovranità in campo economico. E oggi? Nel presentare nuove e impegnative raccomandazioni alla Francia perché riduca il debito pubblico e rispetti gli impegni sul fronte del deficit, la Commissione europea sta facendo uso dei nuovi poteri di intervento nelle politiche nazionali. Il modo in cui la Francia risponderà nei fatti alle richieste comunitarie sarà per molti versi un test sia sulla credibilità dell'esecutivo comunitario, sia sulla reale capacità dell’Unione di fare passi avanti sostanziali verso una maggiore integrazione politica.
Da quando François Hollande è arrivato all'Eliseo, la Francia sta facendo campagna per riequilibrare il mix di politica economica tra austerità e crescita. E' pronta ad accettare di ridurre il suo deficit pubblico al 4,5% quest'anno e al 3,0% del PIL l'anno prossimo, rispettando le regole europee e seguendo i dettami della Commissione? Mentre si discute di Europa federale, di integrazione politica e di sovranità ridotte, la domanda non è banale. Dalla sua risposta dipenderà il futuro dell'unione monetaria. In questo senso la partita europea è più parigina che berlinese. Dalla Francia giungono per il momento segnali ambigui. Il ministro delle Finanze Pierre Moscovici ha spiegato ieri sera che Parigi rispetterà "gli impegni di bilancio". Nota però un esponente comunitario: "Hollande non ha fatto campagna elettorale chiedendo un mandato per trasferire sovranità dalla periferia al centro", come sottintende una risposta strutturale alla crisi debitoria. Altri osservatori fanno notare che nessuno della vecchia guardia europeista del partito socialista francese, come per esempio Elisabeth Guigou o Hubert Védrine, è entrato al governo o partecipa attivamente alla sua politica. Molti ricordano che Laurent Fabius, il nuovo ministro degli Affari esteri, ha votato contro il Trattato di Lisbona nel referendum del 2005. Altri ancora pensano che il vero Hollande emergerà solo gradualmente. Come Jacques Chirac nel 1995 o François Mitterrand nel 1981, ci vorrà tempo perché il leader scopra le sue carte. Un primo passaggio cruciale saranno le legislative del 10 e 17 giugno. I più ottimisti danno credito alle voci parigine secondo le quale dopo il voto potrebbe esserci un rimpasto e la nomina di un vice primo ministro degli affari europei.
(Nella foto, il nuovo presidente francese François Hollande)
NB: Dal fronte di Bruxelles (ex GermaniE) è anche su Facebook