Recenti dati sugli stipendi in Europa hanno suscitato emozioni e polemiche in Italia. I giornali hanno dato enfasi a statistiche europee secondo le quali i salari italiani sono molto più bassi di quelli prevalenti in Europa del Nord. Il tono è stato inutilmente vittimistico. Un articolo pubblicato sul sito interfluidity.com e scritto da un economista americano dà della situazione salariale nella zona euro una prospettiva molto diversa. Steve Randy Waldman conferma prima di tutto che negli ultimi 15 anni i costi unitari del lavoro su base nominale hanno avuto un andamento praticamente piatto in Germania, oggi particolarmente competitiva anche sul grande mercato globale. Viceversa, in Grecia l'aumento è stato del 60%, in Portogallo del 50%, in Italia del 40% (si veda il grafico a fianco). I dati farebbero pensare che la competitività nel Nord Europa sia dovuta alla capacità di questi paesi di controllare in questi anni l'andamento del costo del lavoro. E' vero, ma solo in parte. I dati sul costo del lavoro unitario in termini assoluti mostrano che a dieci anni dalla nascita dell'unione monetaria i lavoratori italiani o greci guadagnano più o meno quanto quelli tedeschi e olandesi, per la stessa quantità di produzione (si veda il grafico qui sotto). "In generale, i lavoratori del Sud Europa – spiega Waldman – guadagnano meno, semplicemente perché producono un minor numero di beni e servizi o beni e servizi di qualità inferiore ai loro vicini del Nord". Il problema quindi non è tanto il costo del lavoro unitario quanto il livello della produzione.
La differenza tra Europa del Nord ed Europa del Sud è la "profondità del capitale" (capital depth, secondo l'espressione inglese), in altre parole l'organizzazione economica, le infrastrutture pubbliche, le attrezzature fisiche che rendono una economia ricca e dinamica. Il ritardo italiano o greco dipende quindi da un uso poco produttivo del denaro, pubblico e privato. "Il problema dell'Europa del Sud si riflette nell'incapacità di produrre beni e servizi commerciabili in quantità sufficienti per pagare per le proprie importazioni", spiega ancora Waldman. Se portato alle sue estreme conseguenze, il ragionamento dell'economista americano lascia intendere che la soluzione per migliorare la competitività di un paese è in un migliore uso del capitale in senso ampio piuttosto che nella semplice (e dopotutto relativamente facile) riduzione degli stipendi su base reale. Il messaggio ha il merito di essere rivolto a tutti: ai governi nazionali che sprecano risorse pubbliche; alle imprese gestite male; alle organizzazioni sindacali che ostacolano le ristrutturazioni aziendali; ai lavoratori e agli albi professionali che difendono rendite di posizione; e anche ai creditori internazionali che negli anni hanno investito in Grecia o in Portogallo perseguendo profitti di breve termine, piuttosto che benefici di lungo periodo.
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