Silvio Fagiolo, scomparso all'improvviso martedì sera a Milano all'età di 72 anni, apparteneva a quella schiera di diplomatici italiani che negli ultimi cinquant'anni hanno assicurato all'Italia un ruolo europeo di primo piano. Grande conoscitore della Germania, il suo lavoro alla Farnesina ha segnato i rapporti italo-tedeschi degli ultimi decenni. Nato a Roma nel 1938, Silvio Fagiolo ha compiuto una carriera d'altri tempi, tutta in un Occidente segnato dalla ricostruzione e dalla guerra fredda quando i paesi emergenti di oggi erano ancora il Terzo Mondo di ieri. Grazie a una perfetta conoscenza del tedesco e del russo, ha iniziato come segretario d'ambasciata a Mosca negli anni di Leonid Brezhnev, è stato poi console a Detroit, consigliere d'ambasciata a Bonn agli inizi dell'era di Helmut Kohl, ministro consigliere a Washington negli anni 90, rappresentante permanente d'Italia presso l'Unione Europea a Bruxelles, e infine ambasciatore a Berlino dal 2001 fino al 2005 quando è andato a riposo, diventando professore alla LUISS di Roma e collaboratore del Sole/24 Ore. Come ricorda Mario Monti in una prefazione al suo ultimo libro (L'idea dell'Europa nelle relazioni internazionali, pubblicato nel 2009), l'europeista Silvio Fagiolo è stato per vent'anni al crocevia dell'integrazione europea, negoziando in prima persona e per i diversi ministri che si sono succeduti alla Farnesina il Trattato di Maastricht, il Trattato di Amsterdam e il Trattato di Nizza. Anche per motivi famigliari era particolarmente legato alla Germania, un paese in cui ha trascorso tre lunghi periodi, non solo da diplomatico ma anche da studente della Freie Universität negli anni 60.
Silvio Fagiolo era convinto che il diplomatico – come peraltro il corrispondente – debba conoscere la storia del paese in cui risiede per capirne i meandri dell'attualità, le debolezze, le indiosincrasie e le passioni. Sapeva che nessuna agenda, ancorché ambiziosa, può sopravvivere senza un solida analisi. E riusciva come poche persone a collegare i fatti della cronaca con le tendenze di più lungo periodo, grazie anche a una profonda cultura che spaziava dalla storia russa alla letteratura tedesca, alla sociologia americana. Per motivi professionali era a conoscenza di una enormità di piccoli e grandi dettagli della politica europea. A un giornalista avrebbe potuto rivelare tanti aneddoti sfiziosi di cui sono ricche le pagine dei giornali italiani. Ma a chi era pronto ad ascoltare preferiva tratteggiare un grandangolo, indispensabile per colui che vuole dare ai propri lettori non dettagli pruriginosi, ma chiavi di lettura per capire il presente e anticipare il futuro. In altre parole, l'abitudine del retroscena non gli apparteneva. Oltre a un libro sul processo di integrazione europea, Silvio Fagiolo è anche autore di alcuni volumi in cui fa capire quanto il mestiere del diplomatico dopotutto assomigli a quello del giornalista. Dai suoi trascorsi a Mosca e a Detroit ha tratto due ricognizioni sul campo: il primo sui gruppi di pressione in Unione Sovietica e il secondo sulla classe operaia negli Stati Uniti. In un momento in cui la vita pubblica italiana getta un'ombra sull'intero paese, Silvio Fagiolo ci ricorda come la classe dirigente in Italia riesca ancora ad esprimere persone colte, sobrie e intelligenti. Appena qualche mese fa lo rividi a Roma. A pranzo gli chiesi un po' ingenuamente se praticasse ancora il russo. Mi rispose en passant che stava rileggendo Nabokov. Sempre durante la stessa conversazione mi citò il Talmud: "Solo chi non sa dove andare pensa che tutte le strade portino alla meta". Era il suo modo di leggere con malcelato rammarico l'Italia di oggi.
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(Nella foto, un'immagine recente dell'ambasciatore Silvio Fagiolo, scomparso a Milano il 28 giugno. Era nato a Roma il 15 luglio 1938)