FRANCOFORTE – Solo qualche anno fa la Germania era definita das Schlusslicht in Europa, il fanalino di coda in Europa. Oggi è tornata a essere un paese economicamente dinamico. Molto – non tutto naturalmente – è da attribuire a un'ondata di flessibilità nei contratti collettivi di lavoro che senza mettere a repentaglio le relazioni industriali ha introdotto sempre più di frequente accordi a livello locale, soprattutto nel grande e ricco settore industriale.
A Pforzheim, una cittadina tra Stoccarda e Karlsruhe, si tennero nel 2004 le trattative per un nuovo contratto nel delicato settore metalmeccanico che a sette anni di distanza è ritenuto da molti una svolta. Il momento era difficile. La Germania era entrata nella zona euro sfiancata da una unificazione costosa e da un marco sopravvalutato. I prodotti tedeschi avevano perso slancio sui grandi mercati internazionali e l'economia era in stagnazione.
Molte imprese avevano chiuso i battenti; altre avevano licenziato i lavoratori; altre ancora avevano optato per una delocalizzazione delle fabbriche, soprattutto in Europa dell'Est alla ricerca di salari più bassi. «Il contratto collettivo – ricorda Otmar Zwiebelhofer, l'allora rappresentante dell'associazione imprenditoriale che negoziò l'accordo con il sindacato IG Metall – era ritenuto da molte imprese troppo rigido. C'erano forti pressioni perché le cose cambiassero».
Evidentemente l'assetto stesso di Gesamtmetall, l'organizzazione che in Germania raggruppa le aziende metalmeccaniche, non era considerato sufficiente. Nel corso dei decenni, l'associazione ha assistito alla nascita di due tipi di iscritti: da un lato le società che applicano il contratto collettivo; dall'altro quelle, tendenzialmente piccole imprese, che pur essendo parte integrante dell'organizzazione non lo applicano.
Qualche mese prima della scadenza del contratto l'IG Metall si era lanciato in uno sciopero controverso per chiedere che anche in Germania Est l'orario di lavoro settimanale fosse di 35 ore, come a Ovest, e non di 38. L'iniziativa era fallita e aveva imposto all'organizzazione sindacale un ripensamento della sua strategia. Alla vigilia delle trattative di Pforzheim, nel 2003, l'economia aveva chiuso in stagnazione e con circa 4,2 milioni di disoccupati.
Ai tempi, nel settore metalmeccanico gli accordi collettivi prevedevano pochissima flessibilità. Chi voleva maggiore libertà doveva uscire dal contratto collettivo, e quindi firmare intese individuali con ciascun dipendente oppure trovare un accordo valido per tutti attraverso il sindacato interno.
Era possibile deviare dal contratto collettivo solo e soltanto nei casi in cui la società era in grave crisi, sul punto di chiudere. L'accordo di Pforzheim introduce nel sistema tedesco clausole che oggi permettono alle imprese di disattendere l'intesa generale almeno in parte, anche in assenza di una grave crisi aziendale. Il contratto del 12 febbraio 2004 prevede che nuove norme possano essere decise a livello locale tra il management e il consiglio di fabbrica. Queste regole devono poi essere approvate dall'associazione imprenditoriale Gesamtmetall e dal sindacato IG Metall.
Si calcola che circa 800 aziende abbiano fatto uso di questa possibilità negli ultimi sei anni sulle 3.800 imprese iscritte alla Gesamtmetall e che applicano il contratto collettivo metalmeccanico (quelle che non lo applicano sono circa 2.500). L'intesa firmata a Pforzheim precisa che è possibile deviare dal contratto per quanto riguarda orari, salari, vacanze o altro purché l'obiettivo sia di rilanciare l'impresa, creando nuove opportunità economiche e salvaguardando posti di lavoro.
Precisa Zwiebelhofer, che oggi ha 75 anni: «Fin dall'inizio dissi che lo scopo delle società non era tanto di ridurre i costi o di aumentare i profitti ma di avere margine di manovra per nuovi investimenti, in particolare nella ricerca. Questo fu un aspetto convincente. Credo poi che il sindacato abbia accettato sacrifici anche perché ha visto nella salvaguardia dei posti di lavoro un modo per evitare un crollo degli iscritti come conseguenza di nuovi licenziamenti».
«Gli svevi – disse ai tempi un sindacalista, riferendosi agli abitanti del Baden-Württemberg, la regione di Pforzheim – sono lenti, concreti, orientati al risultato». Dietro al successo di sette anni fa hanno giocato la presenza di due sole controparti, il pragmatismo, la fiducia reciproca, il bene comune. Proprio ieri il ministro dell'Economia Rainer Brüderle ha pubblicato stime ottimistiche sul futuro dell'economia tedesca, parlando di «una ripresa extra large».
B.R.