La ripresa bussa alle porte dell’immigrato qualificato – 05/08/10

Al momento dell'allargamento, nel 2004, la Germania fu tra i pochi paesi a imporre un blocco alla libera circolazione dei lavoratori nell'Unione. Dimostrò allora un criticabile protezionismo. Oggi la situazione si è ribaltata: a sorpresa la classe politica a Berlino vuole aprire le frontiere alla manodopera qualificata, allentando norme stringenti, e magari esortando le imprese a offrire pacchetti economici particolarmente attraenti. L'idea, che giunge sulla scia di una parziale revisione della scelta presa sei anni fa, è ancora tutta da concretizzare, ma certo ha colto un problema che riguarda tutti i paesi europei, anche l'Italia.

L'idea, che giunge sulla scia di una parziale revisione della scelta presa sei anni fa, è ancora tutta da concretizzare, ma certo ha colto un problema che riguarda tutti i paesi europei, anche l'Italia. Secondo il centro-studi IW di Colonia,da qui al 2014 l'industria tedesca, oggi in forte ripresa, farà i conti con una mancanza di tecnici, ingegneri e scienziati, circa 220mila in tutto. La questione preoccupa un establishment economico tutto votato all'export di beni d'investimento sempre più sofisticati. Le ragioni di questa penuria sono almeno due. Da un lato, c'è un crescente disallineamento tra le necessità dell'economia e le materie in cui si sono specializzati i nuovi laureati.

Dall'altro, il progressivo invecchiamento della popolazione comporterà il ritiro dalla vita attiva di molti lavoratori qualificati. Di qui il desiderio del ministro dell'Economia Rainer Brüderle di aprire le frontiere a nuovi e moderni Gastarbeiter, in ricordo dei lavoratori-ospiti che fecero la fortuna della Germania nel dopoguerra. In un paese dove la disoccupazione riguarda più di tre milioni di persone, la scelta è coraggiosa, ma realistica. È la conferma di come la globalizzazione abbia diverse facce. I paesi emergenti non sono soltanto grandi acquirenti di automobili o di prêt-à-porter. In alcuni settori le loro università sono all'avanguardia: ormai la ricerca agricola è brasiliana, l'informatica indiana, la matematica coreana.

Se l'Europa vuole rimanere competitiva, non può limitarsi a ridurre i costi di produzione o a investire in ricerca e sviluppo; deve anche vincere le reticenze protezioniste e dare accoglienza alla manodopera più qualificata. Altri paesi lo stanno facendo da tempo. Il Canada potrebbe accogliere quest'anno tra i 240 e i 265mila nuovi immigrati, di cui 50mila lavoratori specializzati. In Gran Bretagna il 30% dei medici ha radici straniere. La stessa Danimarca ha creato un sistema di immigrazione a punti: nel 2002 il piccolo paese scandinavo attirò dall'estero 185 ingegneri, saliti a oltre 2.200 nel 2009.
Una politica attiva a favore dell'immigrazione di nuovi professionisti è ormai diventata indispensabile. La Germania nel 2000 lanciò un programma di green cards tutto rivolto ai tecnici informatici. Il piano ha avuto un successo limitato: appena 33mila ingegneri hanno deciso di trasferirsi in terra tedesca. Per ammissione delle stesse autorità, le regole si sono rivelate troppo ferree, la burocrazia troppo invasiva, il tedesco troppo difficile da imparare. A dieci anni di distanza, la Germania ci vuole riprovare, consapevole di come la competitività di un paese non si misuri solo dal prezzo di vendita dei suoi prodotti.
Peraltro, l'immigrazione non serve soltanto a risolvere urgenti carenze professionali. In molti casi può iniettare nell'economia straordinarie dosi di dinamismo. Quasi due secoli fa viaggiando in America Alexis de Tocqueville notò come i francesi della Louisiana, rappresentanti di un vecchio impero prossimo al declino, gli sembrarono poco intraprendenti rispetto ai coloni americani provenienti dal Nord e «divorati dal desiderio di ricchezza ». Forse lo stesso esempio americano può servire di lezione in questo caso.

B.R.