HOHENSTEIN-ERNSTTAHL - Per quarant'anni della sua vita Dietmar Roth non ha viaggiato. O meglio da Chemnitz, la città della Sassonia in cui è nato nel 1949, poteva recarsi a Budapest o a Praga, a Varsavia o a Mosca. Non a Parigi, Roma o Madrid. A scuola aveva studiato l'inglese e il russo, ma l'Europa, quella al di là del «muro di protezione antifascista» destinato a proteggere la Germania comunista dall'influenza occidentale, gli era sconosciuta. Oggi a vent'anni dalla caduta del comunismo, Dietmar Roth si è vendicato del destino. La sua impresa, fondata nel 1990, spazia dall'Australia agli Stati Uniti.
«La sera in cui è caduto il Muro ero al Teatro dell'Opera di Chemnitz – dice Roth, mentre seduto nella sala riunioni della Roth & Rau gli ritornano in mente gli avvenimenti del 1989- non so cosa fossi andato a vedere con mia moglie. Ma mi ricordo perfettamente lo shock quando ebbi la notizia tornando a casa. Proprio non ce l'aspettavamo. Mi sono subito interrogato sul futuro. All'epoca avevo due possibilità: potevo continuare a fare il ricercatore universitario; oppure tentare di realizzare il mio grande sogno: creare un'azienda. Così ho fatto. Senza alcuna esperienza, ho ricevuto dallo stato un finanziamento».
Chi ha detto che l'ex Ddr è il Mezzogiorno di Germania? Chi ha detto che le regioni orientali sono destinate a un ritardo economico incolmabile? Nell'anno in cui la Germania celebra la caduta del muro, Dietmar Roth festeggia il suo sessantesimo compleanno. Ha trascorso tre quarti della vita in un'economia pianificata e in un regime dittatoriale: senza concorrenza, senza libertà. In venti anni si è convertito al capitalismo, fondato una multinazionale dell'energiasolare. E a sorpresa dice che la formazione ricevuta nella Germania comunista lo ha aiutato.
La saggezza e l'esperienza modella il fisico delle persone. Lo sguardo mite e i capelli grigi, Roth è la prova vivente delle profonde ( e spesso ignorate) radici industriali della ex Ddr. Congelate per 40 anni, stanno lentamente riemergendo. Nonostante i rigurgiti di Ostalgia, il successo di Die Linke, l'elevata disoccupazione, molti tedeschi orientali non hanno dimenticato di essere stati per oltre un secolo l'altra Ruhr, protagonisti anche loro della grande rivoluzione industriale tedesca. Oggi gli uffici della Roth & Rau – oltre 500 dipendenti in 10 paesi- si stagliano in una zona industriale a macchia di leopardo, tra stabilimenti moderni e capannoni abbandonati.
Eppure, Hohenstein-Ernsttahl, alle porte di Chemnitz, produceva nell'Ottocento fino all'80% della produzione mondiale di calze. Tra il 1825 e il 1925 la popolazione della Sassonia è quadruplicata, quella della Baviera appena raddoppiata. La stessa Chemnitz è stata per decenni una culla industriale della Germania guglielmina. Non per altro, il regime della Ddr nel 1953 cambiò il nome della città in Karl-Marx-Stadt, facendone uno dei bastioni della propaganda comunista.
«Sono nato il 3 febbraio del 1949 – racconta Roth – allora Chemnitz si trovava in piena zona di occupazione sovietica e sarebbe entrata a far parte della Rdt da lì a qualche mese. I miei genitori erano insegnanti. Dopo gli studi decisi di fare il ricercatore universitario. Il nostro stile di vita era buono, senza godere dei privilegi della Nomenklatura: avevamo una macchina, un appartamento ma non potevamo viaggiare e le comodità rispetto a quelle occidentali erano limitate. Ero iscritto al partito, ma era una formalità. Direi che ai tempi i comunisti convinti erano il 3-5% della popolazione. La stragrande maggioranza era realista, consapevole dei limiti del regime».
Troppo spesso la dittatura della Germania Est viene assimilata a quella sovietica. Ulrich Mühe, il protagonista di Das Leben der Anderen (La vita degli altri) ha mostrato vividamente la presenza della Stasi nella vita quotidiana. Eppure, spiega ancora il presidente della Roth & Rau, a dispetto del Muro e dei Vopos, il sistema a Berlino Est era meno opprimente che a Mosca: c'era libertà di movimento all'interno della Rdt; chi poteva permettersi una televisione poteva vedere i programmi tedesco- occidentali; e come in Cecoslovacchia sopravviveva una base industriale, di cui la celebre Trabant era solo un esempio.
«Mio nonno nacque nel 1898 e morì nel 1961- continua Roth- era un vero imprenditore, di quelli che fecero il successo economico di Chemnitz tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento. Nel corso della sua vita fu grossista di carbone, produttore di guanti, gestore di tram.Per lui l'instaurazione del comunismo, dell'economia pianificata, della proprietà statale fu uno shock enorme. Lo conobbi in gioventù: mi raccontò la sua esperienza. Sono convinto che fare l'imprenditore dipenda per il 90% dal lavoro quotidiano e per il resto dall'istinto: quest'ultimo 10% l'ho ereditato da mio nonno».
Certo, la Roth & Rau, che nel 2006 è entrata alla borsa di Francoforte e nel 2008 ha acquistato una piccola azienda di Monza (la Tecnofimes), è un'eccezione, ma anche la punta di un iceberg. Tra il 1989 e il 2009 la produttività nella ex Ddr è salita dal 25 al 79% in rapporto a quella della Germania Ovest. Nel frattempo il prodotto interno lordo pro capite è aumentato dal 43 al 71 per cento. Le aziende sono più piccole e più fragili di quelle nelle regioni occidentali, ma a venti anni dalla Caduta del Muro l'iniziativa economica è viva e vegeta: il numero dei liberi professionisti in relazione alla popolazione è ormai ai livelli della Germania Ovest.
Roth accenna un sorriso, prima di lanciare una provocazione: «Non sarei riuscitoa diventare un imprenditore senza la formazione ricevuta negli anni della Ddr. A scuola ho imparato due lingue, il russo e l'inglese. Il sistema scolastico era di qualità. Erano i risultati, alla fine dell'ottava classe (la terza media in Italia, Ndr), a determinare se l'alunno sarebbe andato nelle scuole riservate alle professioni intellettuali o negli istituti professionali. Nella Ddr sopravviveva quel legame tra industria e università che fece il successo della rivoluzione industriale tedesca e che mi permise di specializzarmi nei semiconduttori».
Chissà se i ricordi di Dietmar Roth sono annebbiati da un ultimo ventennio di grande successo nella nuova Germania capitalistica? Forse; ma non è un caso se nel simbolo della Germania Est non c'erala falce, ma il compasso. In un libro del 2002, Das know-how, das aus dem Osten kam (Il know-how che venne dall'Est), Hermann Golle, che come Roth è nato in Sassonia e ha vissuto nella Rdt, racconta di come centinaia di aziende tedesco-orientali nel secondo dopoguerra e fino agli anni 60 furono trasferite armi e bagagli a Ovest, vuoi attraverso lo smontaggio e il trasloco di intere fabbriche, vuoi grazie alla semplice emigrazione di ingegneri e imprenditori.
«L'aspetto più difficile della mia transizione alla democrazia è stato abituarsi al mercato – conclude Roth, nominato imprenditore dell'anno 2009 dalla Ernst & Young insieme agli altri dirigenti della società – non ho fatto alcun Mba: il mio è stato un learning by doing, imparare facendo. Ho dovuto imparare non tanto gli aspetti tecnici quanto a capire i desideri del consumatore, cosa potesse essere di interesse e come offrire il nostro prodotto. In un'economia pianificata come quella comunista sono concetti che non esistono e che ho iniziato a maneggiare all'età di 40 anni. Ho imparato a prendere rischi finanziari che prima non avevo mai preso: una sfida umana più che economica».
La vita di Roth è certamente particolare. Forse non era membro della Nomenklatura, ma certo era un esponente dell'intellighenzia. «La mia esperienza mi dice che non tutto nella Ddr era da buttare. Anzi, credo che la relazione tra università e industria allora dominante dovrebbe essere presa a modello nella Repubblica federale». Quanto del successo del solare a Hohenstein- Ernsttahl, dell'eolico a Rostock, della micro-elettronica a Dresda, dell'industria chimica a Wolfen è da attribuire al vecchio tessuto economico comunista e prima ancora guglielmino? Neppure Roth osa rispondere. Si limita a dire: «Sul futuro dei Länder orientali sono ottimista».
B.R.