Negli scorsi mesi documenti diplomatici del Foreign Office hanno confermato l’opposizione di Margaret Thatcher e la freddezza di François Mitterrand all'unificazione tedesca del 1990. Meno nota è una vicenda che sei anni prima provocò una piccola crisi diplomatica tra Bonn e Roma proprio sul futuro delle due Germanie. Da allora è trascorso molto tempo, ma gli eventi di quell’anno, come mi ha raccontato di recente l’allora ambasciatore d’Italia nella Repubblica Federale Luigi Vittorio Ferraris, nascondono non poche lezioni sul rapporto italo-tedesco, sulle idiosincrasie dei due paesi, sui punti di forza e debolezza nelle relazioni bilaterali. Ecco la sua testimonianza.
Era il 1984: in Italia al potere era Bettino Craxi, presidente del consiglio di una maggioranza composta tra gli altri da socialisti e democristiani. Il 13 settembre, durante un convegno della Festa dell'Unità a Roma, l'allora ministro degli Esteri Giulio Andreotti riprese una vecchia battuta di François Mauriac che diceva più o meno così: Amiamo talmente la Germania da preferire che ve ne siano due. Disse esattamente Andreotti: “Noi siamo tutti d'accordo che le due Germanie abbiano dei buoni rapporti (…) Però sia chiaro che non bisogna esagerare in questa direzione, cioè bisogna riconoscere che il pangermanesimo è qualcosa che deve essere superato. Esistono due Stati germanici e due Stati germanici devono rimanere”.
Le parole del ministro degli Esteri scatenarono le proteste ufficiali del governo federale. Ferraris, allora ambasciatore a Bonn, fu convocato all’Auswärtiges Amt a un’ora insolita: le 8 del mattino. "Il ministro Hans-Dietrich Genscher – mi ha raccontato di recente l’ex diplomatico – fu cortese, ma molto fermo nel protestare per la presa di posizione di Andreotti. L’aspetto che più fece arrabbiare i tedeschi fu l'argomento del pangermanesimo che ai loro occhi riportava alla mente l'espansionismo e il militarismo prussiano. A colpire in particolare fu il fatto che queste parole provenissero da un democristiano italiano, un collega di partito dell'allora cancelliere Helmut Kohl".
Ai tempi, l’unificazione tedesca non era certo d’attualità, ma i tedeschi dell’Ovest volevano che formalmente rimanesse in agenda. La stampa tedesca fu molto dura. La Frankfurter Allgemeine Zeitung scrisse: "Da tanto tempo nell'alleanza occidentale un politico al governo non ha fatto così tanto danno con così poche parole". Aggiunse Die Welt: quelle di Andreotti sono state “parole sbagliate nel posto sbagliato al momento sbagliato”. Ferraris era a Bonn già da qualche anno, molto apprezzato e rispettato dall’establishment tedesco. Riuscì a calmare le acque. Ma non dovette agire solo sul piano politico. La presa di posizione del ministro italiano scatenò anche la reazione di molti cittadini tedeschi.
“Ricevetti più di seicento lettere in ambasciata. E decisi di rispondere a ognuna nel merito. Mi aiutò Silvio Fagiolo con la sua eccellente padronanza del tedesco”. Quest’ultimo, allora consigliere di ambasciata, è stato successivamente ambasciatore nella Repubblica Federale tra il 2001 e il 2005. Durante una recente conversazione Ferraris, che oggi ha 81 anni, mi ha descritto il tenore delle lettere. C’è chi rimproverava agli italiani di essere inaffidabili, ricordando “il tradimento del 1943”; chi minacciava ritorsioni e la cancellazione delle vacanze sulla riviera romagnola; chi temeva un netto rallentamento nel processo di integrazione europea a causa dello scontro tra due paesi fondatori.
“La relazione tra Germania e Italia – commenta Ferraris a 25 anni di distanza da quegli avvenimenti – ha venti secoli di storia alle spalle, una caratteristica quasi unica in Europa. Risale alla battaglia di Teutoburgo e alla vittoria di Arminio contro i romani. Sono rapporti quelli italo-tedeschi molto complessi, più complessi di quelli tra la Germania e la stessa Francia, ma anche più inscindibili. Pensi a Federico Barbarossa, un eroe nazionale per i tedeschi, un invasore sanguinario per gli italiani; pensi al confronto tra Crispi e Bismarck; pensi ancora all’Italia che per secoli ha fatto parte della grande Deutsche Nation e quindi ai fortissimi legami che l’aristocrazia milanese o veneta ha tutt’ora con quella viennese”.
Per certi versi, prosegue l'ex diplomatico, "la presa di posizione di Andreotti nasconde un pregiudizio anti-tedesco sempre strisciante in Italia. Molti italiani si interrogano continuamente sulla collocazione della Germania in Europa. Sono ossessionati dal Nazismo e dall’espansionismo prussiano. Sanno tutto di Luigi XIV, ma nulla di Federico II. Oggi vanno a Berlino come prima andavano all’Oktoberfest, ma ignorano o quasi il resto del paese. Così come la letteratura tedesca: quanti oggi in Italia hanno letto Theodor Fontane? D’altro canto, quando a Versailles nel 1919 si discusse del destino della Germania Vittorio Emanuele Orlando era fuori dalla sala, alle prese con la questione di Fiume”.
Certamente, continua Ferraris, "si parla di Italia in Germania molto più di quanto non si parli di Germania in Italia. I tedeschi considerano gli italiani fondamentalmente inaffidabili. Mi ha detto un giorno il cancelliere Helmut Schmidt che in Italia si pratica eine selektive Anwendung des Gesetzes, un’applicazione selettiva della legge. Detto ciò, credo che negli ultimi trent’anni l’immagine degli italiani sia migliorata. Certo non vi ha contribuito la nostra vita politica così profondamente diversa da quella tedesca. Ma le nostre imprese hanno dimostrato qualità ed efficienza, mentre i nostri immigrati si sono distinti in modo particolare”.
Le celebrazioni per la Caduta del Muro sono l’occasione in Germania per fare il punto sull’unificazione e sul ruolo internazionale della Repubblica Federale. Il paese oscilla tra il desiderio di ritrovare un proprio ruolo a livello mondiale e la consapevolezza dei suoi limiti nazionali in un mondo sempre più dominato dalle nuove superpotenze emergenti. In questo contesto, il futuro del rapporto con l’Europa e con l’Italia è aperto. Memore delle oltre seicento lettere che ricevette nel 1984, Ferraris trae alcune lezioni, forse utili per il futuro: “I tedeschi apprezzano la franchezza; accettano le critiche; amano la serietà”.
(Nelle foto, da sinistra a destra, Giulio Andreotti, Luigi Vittorio Ferraris, Hans-Dietrich Genscher)