La situazione sul mercato del credito in Europa rimane difficile. L'istituto tedesco IFO teme che l'atteggiamento delle banche, prudenti nel prestare denaro a famiglie e imprese, possa soffocare la timida ripresa economica in Germania, mentre la Banca centrale europea non perde occasione per lanciare appelli alle banche perché tornino a prestare all'economia. Ci vorrebbe un moderno John Pierpont Morgan: nel 1907, quando gli Stati Uniti erano alle prese con la prima grande crisi del Novecento, questi convinse i banchieri dell'epoca a dare liquidità all'economia per salvare il paese. La storia di questo banchiere americano (1837-1913) vale la pena di essere ricordata in questi tempi di débâcle finanziaria. Nato nel 1837 in una ricca famiglia del Connecticut, ebbe un'educazione a cavallo tra Stati Uniti ed Europa, studiando a metà dell'Ottocento sia in Francia che in Germania. Suo padre, finanziere, lo iniziò a una professione in cui eccelse. Tra le altre cose Morgan fu magistrale nell'organizzare la nascita di General Electric (con la fusione tra Edison General Electric e Thompson-Houston Electric Company) e della US Steel Corporation. Collezionista d'arte, il banchiere divenne rapidamente un uomo potente, ricco e influente, talmente influente da riuscire in una drammatica riunione dell'autunno 1907 a convincere i suoi colleghi banchieri a salvare il mercato finanziario americano, in preda a un'ondata di panico. Il luogo in cui si svolsero i fatti è rimasto immutato a un secolo di distanza, ed è visitabile a New York. L'edificio firmato in stile rinascimentale dall'architetto Charles McKim nel 1906 si trova all'incrocio tra la Madison e la 36ma Strada. Nelle intenzioni del banchiere, il palazzo – costruito accanto alla sua abitazione e attualmente sede della Morgan Library – ospitava il suo studio privato e la sua biblioteca personale, che ancora oggi raggruppa opere originali di Johannes Gutenberg, Honoré de Balzac o Walter Scott.
Era il 1907. La Borsa era in caduta libera, i tassi d'interesse erano saliti drammaticamente e a rischio era il futuro del giovane mercato finanziario americano. Dominavano la sfiducia e la paura tra nuova recessione economica ed ennesima bolla speculativa. L'establishment politico – presidente era Theodore Roosevelt – sembrava impotente. Usando tutta la sua influenza, il 2 novembre 1907 il finanziere riunì nel suo studio una cinquantina di banchieri, chiudendo la porta a chiave. Jean Strouse, nella sua biografia di Morgan, racconta che dopo estenuanti discussioni il banchiere mise sul tavolo una dichiarazione e costrinse Edward King, ai tempi presidente della potente Union Trust, a firmare una promessa di pagamento da 25 milioni di dollari. Gli altri finanzieri seguirono l'esempio. Erano le 4:45 del mattino quando finalmente Morgan riaprì le porte del suo studio. La sala in cui si svolse la riunione ha le boiseries ai soffitti, una tappezzeria rossa alle pareti; a una estremità c'è ancora una pesante scrivania di legno; sul fronte opposto un tavolino da caffè e alcune poltrone antiche. Ai muri, oltre a scaffali di legno carichi di libri, anche splendidi dipinti rinascimentali italiani e olandesi decorati da ricche cornici dorate in un ambiente che oggi, a ragione, è un museo. Morgan, che allora aveva 70 anni, riuscì a evitare il crack del sistema finanziario americano. Per alcuni, fu un eroe; per altri un finanziere senza scrupoli che agì prima di tutto per salvaguardare i suoi interessi. Poco importa: la vicenda convinse l'establishment americano a creare da lì a poco, nel 1913, la Federal Reserve. A oltre un secolo di distanza, in piena crisi, le autorità monetarie di tutto il mondo hanno garantito liquidità per evitare un nuovo crack, ma sembra mancare un Morgan che imponga la fiducia reciproca tra le banche e faccia ripartire il flusso di credito all'economia.