I risultati elettorali di domenica in Germania per il rinnovo del parlamento europeo sono stati per molti versi sorprendenti. La socialdemocrazia tedesca non è riuscita in tempi di crisi economica a rafforzarsi. Anzi ne è uscita indebolita, con un calo dei suffragi dal 21,5% del 2004 al 20,8% quest'anno. Naturalmente ciò dipende anche dalla presenza di Die Linke, il partito della sinistra radicale che strappando il 7,5% dei voti è una minaccia molto seria per l'SPD, anche se neppure il movimento di Oskar Lafontaine può dire di avere riscosso un successo memorabile. Manfred Güllner, commentatore tedesco e presidente della società demoscopica Forsa, è arrivato al punto di dire che i socialdemocratici "non sono più un partito popolare, ma quasi una setta". Estremizzando si potrebbe dire che oggi, a quasi tre mesi da voto federale del 27 settembre, i tedeschi sembrano più preoccupati dall'uso crescente del denaro pubblico, che dall'aumento della disoccupazione.
L'SPD ha fatto campagna elettorale cavalcando la difesa dei posti di lavoro e l'intervento dello Stato a sostegno dell'economia. Il tema inevitabilmente è sentito: lo si è percepito chiaramente nella vicenda Opel e nella recente decisione di affidare la casa automobilistica alla cordata guidata da Magna International. Eppure sembra che per ora l'elettore tedesco guardi con maggiore preoccupazione ai molti salvataggi pubblici degli ultimi mesi; all'impatto che avranno sul debito nazionale; e quindi in ultima analisi sul loro significato per i portafogli dei contribuenti. Ecco perché il centro-destra, più attento a queste preoccupazioni, è stato premiato: i liberali dell'FDP hanno guadagnato voti, passando dal 6,1% del 2004 all'11% del 2009, e bene o male i democristiani della CDU-CSU sono rimasti il primo partito di Germania (con il 37,9%, pur in calo rispetto al 2004). Il fenomeno in un momento di gravissima recessione suona incredibile agli occhi di un pubblico francese, italiano e anche inglese, ma è l'ennesimo riflesso di un paese sempre molto preoccupato da eventuali fiammate inflazionistiche e da politiche economiche non sostenibili. Questo è il quadro a meno di quattro mesi dal voto federale. C'è da chiedersi quanto sia stato influenzato da un tasso di affluenza alle urne di appena il 43% e da una disoccupazione relativamente bassa (all'8,4%), drogata dal Kurzarbeit che prevede che lo Stato si sobbarchi il costo salariale di una riduzione del tempo di lavoro (nel grafico l'andamento al rialzo delle domande per usufruire di questa possibilità – in migliaia). Da qui a settembre votanti e disoccupati potrebbero offrire una diversa immagine politica della Germania.