La partita per Opel è terminata nella notte con un accordo tra il governo tedesco, le autorità americane, la casa madre General Motors e l'acquirente Magna International, dopo cinque settimane di tira-e-molla, di voci e smentite, di incontri e dichiarazioni.
Per l'Italia, la Germania è il primo mercato mondiale. Per i tedeschi, la penisola è spesso il secondo mercato dopo quello nazionale, meta di vacanze, un punto di riferimento culturale e intellettuale fin dai tempi della scuola. I tasselli formano uno straordinario mosaico di legami economici, relazioni industriali e rapporti umani. Lo stesso Marchionne non ha lasciato indifferente la classe politica tedesca, con il suo maglione blu e il suo zaino americano. Eppure vi sembrano essere nel rapporto italo-tedesco dei limiti. Al di là della grande fusione UniCredit-HVB nel settore bancario, come non ricordare alcune scalate o alcune fusioni mai riuscite, come quelle Pirelli-Continental, Mediaset-KirchMedia, Deutsche Börse-Borsa Italiana, Lufthansa-Alitalia? A seconda dei casi hanno giocato sui due fronti errori negoziali, dubbi morali, resistenze localistiche, protezionismi regionali. Evidentemente, le differenze nazionali esistono, ed è un po' come se il rapporto italo-tedesco dovesse limitarsi alla collaborazione minimalista e rifiutasse le soluzioni più ambiziose. Non credo a presunte insormontabili incomprensioni nazionali, soprattutto in un'Europa dove nell'ultimo mezzo secolo l'integrazione ha fatto enormi passi avanti. Ma come non chiedersi se la Germania nei suoi rapporti con l'Italia preferisca coltivare i piccoli rapporti quotidiani piuttosto che le grandi iniziative (troppo) politiche? Forse questo dipende anche dalla vita pubblica romana, così lontana da quella berlinese.