La partita per Opel è terminata nella notte con un accordo tra il governo tedesco, le autorità americane, la casa madre General Motors e l'acquirente Magna International, dopo cinque settimane di tira-e-molla, di voci e smentite, di incontri e dichiarazioni. La vicenda offre alcuni insegnamenti, sia per l'Europa che per i rapporti italo-tedeschi. Cominciamo dall'Unione. Nello scegliere Magna, le autorità tedesche hanno voltato le spalle a una soluzione più europea. Una fusione Fiat-Opel avrebbe creato un grande gigante dell'auto continentale che avrebbe dato il la a una ristrutturazione a livello mondiale. In un anno elettorale, la Germania non ha scelto questa soluzione, preoccupata dagli esuberi e da questioni finanziarie. E' possibile che la soluzione Fiat avesse dei difetti, ma il suo amministratore delegato, Sergio Marchionne, ha dimostrato di avere spirito d'iniziativa, coraggio e intuizione (nella foto tratta dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung). La crisi di questi mesi sta cambiando il mondo: la dove il denaro non può fare granché, le idee invece possono provocare una svolta. E' un peccato che un paese come la Germania non abbia visto questa opportunità e che una parte della sua classe politica abbia chiuso la porta pregiudizialmente all'offerta italiana. La seconda considerazione invece riguarda i rapporti italo-tedeschi. Pochi paesi in Europa hanno legami storici ed economici così stretti.
Per l'Italia, la Germania è il primo mercato mondiale. Per i tedeschi, la penisola è spesso il secondo mercato dopo quello nazionale, meta di vacanze, un punto di riferimento culturale e intellettuale fin dai tempi della scuola. I tasselli formano uno straordinario mosaico di legami economici, relazioni industriali e rapporti umani. Lo stesso Marchionne non ha lasciato indifferente la classe politica tedesca, con il suo maglione blu e il suo zaino americano. Eppure vi sembrano essere nel rapporto italo-tedesco dei limiti. Al di là della grande fusione UniCredit-HVB nel settore bancario, come non ricordare alcune scalate o alcune fusioni mai riuscite, come quelle Pirelli-Continental, Mediaset-KirchMedia, Deutsche Börse-Borsa Italiana, Lufthansa-Alitalia? A seconda dei casi hanno giocato sui due fronti errori negoziali, dubbi morali, resistenze localistiche, protezionismi regionali. Evidentemente, le differenze nazionali esistono, ed è un po' come se il rapporto italo-tedesco dovesse limitarsi alla collaborazione minimalista e rifiutasse le soluzioni più ambiziose. Non credo a presunte insormontabili incomprensioni nazionali, soprattutto in un'Europa dove nell'ultimo mezzo secolo l'integrazione ha fatto enormi passi avanti. Ma come non chiedersi se la Germania nei suoi rapporti con l'Italia preferisca coltivare i piccoli rapporti quotidiani piuttosto che le grandi iniziative (troppo) politiche? Forse questo dipende anche dalla vita pubblica romana, così lontana da quella berlinese.