FRANCOFORTE – Nei giorni scorsi il cancelliere Angela Merkel ha lanciato nuovamente un appello contro il protezionismo, rivolgendosi in particolare agli Stati Uniti. Eppure i desideri protezionisti non mancano neppure in Germania, a conferma del rischio di un circolo vizioso dall'impatto deleterio in una situazione economica già molto fragile.
La società di consulenza Ernst &
Young ha tastato il polso dell'economia interpellando nelle scorse
settimane tremila piccole e medie aziende tedesche, per il 40% attive
all'estero. Il 78% delle imprese intervistate ha detto di essere
favorevole a misure di rafforzamento «della protezione dalla
concorrenza internazionale». La quota un anno fa era di appena il 43
per cento.
Nel contempo il 92% delle imprese chiede nuovi
investimenti pubblici. La presa di posizione può sorprendere. Come è
possibile che il primo Paese esportatore al mondo, alle prese con una
domanda interna debolissima – le vendite al dettaglio sono calate per
il terzo mese consecutivo, dello 0,2% in dicembre – possa volere misure
protezionistiche per difendere il mercato interno? In realtà, la
parabola negativa, fatta di azioni e di ritorsioni, è chiara. Dinanzi
alla tendenza di alcuni Paesi a proteggere i propri mercati nazionali,
le società tedesche non rimangono indifferenti, tanto più che la crisi
economica sta inducendo il 33% delle aziende interpellate a ridurre le
attività all'estero per tornare in patria.
La clausola Buy American
inserita nel pacchetto economico del presidente Barack Obama è solo la
punta di un iceberg. In Francia, il Governo sta valutando se legare
all'uso di fornitori francesi gli aiuti al settore auto. In Spagna, il
ministro dell'Industria ha appena esortato i propri connazionali a
comprare spagnolo. In Gran Bretagna i sindacati manifestano contro
l'assunzione di lavoratori non inglesi, mentre in Irlanda, sulla scia
di un aumento della disoccupazione, cresce il malcontento contro la
nutrita comunità di immigrati polacchi.
«Anche se è comprensibile che
le aziende tedesche vogliano in questo momento godere di maggiore
protezione contro la concorrenza straniera – spiega Peter Englisch,
partner di Ernst & Young- il protezionismo non può essere la
risposta alla crisi attuale. Praticamente nessuno beneficia del
commercio internazionale quanto la Germania». Tra gennaio e novembre
2008, il Paese ha esportato per un totale di 927,8 miliardi di euro, in
rialzo del 4% rispetto al 2007.
In effetti, per ora, i risultati
dello studio di Ernst & Young non si riflettono né nella politica
del Governo né nel lobbismo delle associazioni imprenditoriali. Ma in
Germania l'anno è elettorale e la situazione economica particolarmente
seria. Due giorni fa il ministro dell'Economia, Michael Glos, ha
promesso nuovi aiuti all'export, tra le altre cose linee di credito.
«Viviamo un rinascimento delle politiche economiche nazionali», ha
avvertito qualche giorno fa Thomas Straubhaar, presidente dell'istituto
economico amburghese Hwwi. Il tema preoccupa. Secondo molti studiosi,
alla Grande Depressione degli anni 30 ha contribuito in particolare un
aumento del protezionismo: in cinque anni, tra il 1929 e il 1934, il
commercio internazionale crollò di circa il 66 per cento.
B.R.