Sulla ristrutturazione dell’economia tedesca e sulla sua inattesa forza in un momento di evidenti turbolenze internazionali è stato scritto molto, anche in questo blog (per esempio il post del 14 marzo 2008). Le imprese tedesche riescono (per ora) a compensare un calo della domanda americana con un aumento delle vendite nei Paesi emergenti, in Asia e in Medio Oriente. Non sorprende se l’establishment economico tedesco si sia detto contrario a sanzioni contro la Cina per protestare contro la repressione in Tibet (a fianco l’andamento dell’import-export sino-tedesco). E’ noto che la Germania è il primo Paese esportatore al mondo, ma alcune cifre pubblicate nei giorni scorsi sottolineano quanto sia stata profonda negli ultimi anni la riconversione dell’economia tedesca, proiettata come non mai verso i mercati internazionali. Ormai la quota dell’export sul prodotto interno lordo è passata dal 40,9% nel 2005 a poco sotto il 48% nel 2007 (in Italia è salita nello stesso periodo dal 26 al 29%). La previsione è che in Germania aumenti al 49,3% del Pil nel 2009.
Il quotidiano Handelsblatt ha pubblicato questa settimana un’interessante cartina del Paese, suddiviso per Länder, dalla quale emerge come ormai tutte le regioni tedesche siano grandi esportatrici. Anche quelle più povere dell’Est. In cima alla classifica sono la città-Stato di Brema e il Land del Baden-Württemberg con il 50,7% e il 48,1% della produzione venduta all’estero. Nella ex DDR, il Mezzogiorno tedesco, la percentuale è naturalmente più bassa, ma anche nella regione che esporta di meno, il Brandeburgo con il 23,6% del Pil locale, la quota rimane relativamente elevata. E’ del 31,1% a Berlino e del 25,6% nella Sassonia-Anhalt. Purtroppo, l’ISTAT non pubblica i dati sulla capacità esportativa delle singole regioni italiane. L’unico dato, a titolo di parziale confronto, segnala che le regioni dell’Italia meridionale e insulare rappresentavano nel 2007 appena l’11,5% delle esportazioni totali italiane, in grande ritardo rispetto al 40,1% dell’Italia nord-occidentale e del 31,2% dell’Italia nord-orientale.