Strana campagna elettorale quella italiana. L’Unione europea è criticata da molti, ma senza che venga dibattuta in modo approfondito. Ogni giorno è un happening, rilanciato dai media. A un mese dal voto legislativo, i partiti politici – salvo alcune eccezioni – rispondono impulsivamente alle sollecitazioni della cronaca, senza offrire agli elettori proposte concrete e realistiche. Nel frattempo, al di là delle Alpi, il lavoro prosegue tra Parigi e Berlino nel tentativo di rafforzare l’unione monetaria. Roma seguirà, dicono francesi e tedeschi, se lo vorrà, a dispetto dei tanti assi che il dibattito pubblico vede con Berlino o Parigi non appena un leader tedesco o francese visita Roma.
Il lavorio franco-tedesco ha accumulato un certo ritardo in queste settimane, per via delle difficoltà a formare un nuovo governo in Germania. Eppure, è continuato a livello tecnico e anche politico dopo che l’ipotesi di un ritorno al potere di un grande coalizione tra socialdemocratici e democristiani si è concretizzata. Parigi e Berlino speravano di avere pronto un pacchetto di proposte in marzo, ma prevedibilmente vi saranno due appuntamenti: un primo in marzo e poi un secondo in giugno, a causa del ritardo tedesco. Quattro i campi nei quali i due paesi stanno lavorando.
il primo è quello fiscale. C’è il desiderio di armonizzare per quanto possibile le aliquote fiscali, in particolare quelle societarie. C’è la sensazione corretta che la libertà attuale tra i paesi dell’Unione europea si rifletta in una corsa al ribasso delle aliquote fiscali in cui tutti hanno da perdere. Per ora, a livello tecnico, si stanno discutendo le differenze tra le basi imponibili e le strade da percorrere per armonizzarle. Non si vuole ancora toccare l’argomento più delicato, che è quello delle aliquote, ma sia a Parigi che a Berlino si dice che è solo questione di tempo, tanto il desiderio è forte.
Il secondo tema è quello dell’unione dei mercati dei capitali. Il dossier, voluto nel 2014 dal presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, sta proseguendo la sua strada legislativa nelle mani del vice presidente dell’esecutivo comunitario Valdis Dombrovskis, ma in una ottica soprattutto confederale. Parigi e Berlino credono che sia necessario imporre un accento più federale, per esempio armonizzando la natura giuridica dei titoli azionari e obbligazionari o gli stessi diritti fallimentari nazionali, in modo da dare reale profondità al mercato europeo, permettendo all’Unione di avere una liquidità che sia omogenea in tutto il continente. Il processo è ambizioso, lungo, probabilmente 10 anni, ma più che comprensibile.
Il terzo tema è quello noto dell’unione bancaria. Questa deve avere tre pilastri, nelle intenzioni dei paesi membri della zona euro. I primi due sono stati già creati: la vigilanza bancaria è stata trasferita alla Banca centrale europea ed è nato un Fondo europeo per la risoluzione delle crisi creditizie. Manca all’appello una garanzia in solido dei depositi bancari così come un paracadute finanziario pubblico per lo stesso Fondo europeo di risoluzione creditizia in attesa che lo strumento entri a regime con il denaro privato delle banche.
Le trattative proseguono. La Francia preme su Berlino perché accetti una responsabilità in solido dei conti bancari alla luce degli sforzi fatti per ridurre i rischi nei bilanci bancari. La Germania arriccia il naso, ma di recente ha accettato la messa a punto di un processo a tappe che potrebbe essere approvato a livello europeo entro giugno. I progressi sono lenti, ma dovrebbero a un certo punto dare i loro frutti. Quanto al paracadute pubblico, anche in questo caso la Repubblica Federale sta ammorbidendo le sue posizioni, in cambio della trasformazione del Meccanismo europeo di Stabilità (ESM) in un Fondo monetario europeo.
Infine, il quarto tema è quello relativo alla nascita di un bilancio della zona euro. La proposta è in origine francese, ma Parigi ha dovuto fare marcia indietro in questi mesi dinanzi alle preoccupazioni tedesche, e sembra farsi strada l’idea di una linea di bilancio dedicata all’unione monetaria nello stesso bilancio comunitario. La Francia non ha abbandonato completamente la sua idea più ambiziosa e spiega che in fondo il principio è quasi importante quanto lo strumento. In altre parole, Parigi crede che la semplice prospettiva di un bilancio della zona euro a medio termine possa diventare un volano politico dell’integrazione.
Si deve presumere che l’Italia possa condividere nelle sue grandi linee il progetto franco-tedesco. Purtroppo, però, Roma è lontana dai negoziati a due; non può intervenire sui dettagli, dove notoriamente si nasconde il diavolo, e rischia di essere chiamata a valutare il programma di Parigi e Berlino da un posto di seconda fila o terza fila, insieme agli altri paesi membri della zona euro, piccoli e medi. La ragione non è legata solo alla campagna elettorale di queste settimane. Dipende soprattutto dal dibattito pubblico italiano, dal modo in cui una fetta importante della classe politica ed economica esprime gradi diversi ma pur sempre chiari di euroscetticismo. Qui di seguito alcuni esempi recenti.
Il leader del Movimento Cinque Stelle Luigi di Maio vuole rimettere in discussione il limite del deficit pubblico al 3% del PIL; mentre il suo omologo della Lega Nord Matteo Salvini ha promesso una uscita concordata dalla zona euro. Il segretario del Partito democratico Matteo Renzi si è interrogato sulla credibilità di un giudice olandese della Corte europea di Giustizia nella vicenda dell’Agenzia europea dei medicinali (EMA), il cui trasferimento da Londra ad Amsterdam è contestato in Italia. Paragonando una causa di giustizia a una partita di calcio, l’ex presidente del Consiglio ha messo in dubbio l’imparzialità della più alta magistratura comunitaria. Con una battuta, ha forse galvanizzato i suoi sostenitori, ma anche preoccupato i suoi partner, e in ultima analisi fatto un torto agli elettori italiani. Insomma, perché invitare al tavolo delle trattative un partner alle prese con l’esercizio (velleitario?) di battere il pugno sul tavolo a Bruxelles?
Sappiamo che il rapporto franco-tedesco è ricco di incomprensioni e di ostacoli. In Italia si pensa, si spera che in fondo Parigi penderà dalla parte di Roma quando si tratterà di recuperare la Penisola per controbilanciare il potere tedesco. Jean Cocteau diceva che “i francesi sono degli italiani di cattivo umore”. La battuta fa sorridere e ha un suo perché, ma temo che l’umore – buono negli uni, cattivo negli altri – non sia l’unica differenza tra italiani e francesi.
(Nella foto, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Emmanuel Macron in un incontro a Parigi il 19 gennaio scorso in cui hanno ribadito che stanno lavorando insieme su un progetto franco-tedesco di riforma della zona euro)
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