Bad Bank – Perché l’accordo Roma-Bruxelles è difficile e perché l’Italia frena

La crisi bancaria italiana è al centro dell’attualità politica da mesi ormai. All’inizio del 2015, il governo Renzi ha aggredito la questione alla radice, trasformando le banche popolari in società per azioni. Da allora, l’esecutivo è stato costretto a ristrutturare quattro banche locali – Banca delle Marche, Banca popolare dell’Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio di Ferrara e Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti – per evitare un travolgente fallimento. Margrethe VestagerSu un altro fronte, invece, non si stanno facendo progressi visibili. Da mesi, il governo italiano e la Commissione europea stanno discutendo dell’ipotesi di creare una bad bank, vale a dire una società incaricata di gestire, di ristrutturare, e di rivendere crediti bancari inesigibili. Così è stato fatto in altri paesi europei, come la Spagna, per liberare i bilanci bancari da sofferenze creditizie e consentire agli istituti di credito di contribuire al rilancio dell’economia concedendo nuovi prestiti. La trattativa va a rilento, e la stessa commissaria alla Concorrenza Margrethe Vestager ha affermato questa settimana che la questione è “urgente”. Ai suoi occhi la mancanza di una soluzione rischia di frenare la ripresa economica. Evidentemente, il dossier è delicato, non facile da risolvere. L’Italia è alla ricerca di soluzioni che siano attraenti tanto per le banche quanto per gli investitori. I crediti inesigibili (pari al 16,7% del totale dei prestiti bancari) hanno prezzi di mercato molto bassi. C’è un divario ampio tra il prezzo di offerta e il prezzo di domanda. Il governo è pronto a intervenire, vuoi offrendo una garanzia all’acquirente su eventuali perdite future, vuoi sussidiando l’acquisto del titolo di cattiva qualità. Il negoziato con l’esecutivo comunitario riguarda evidentemente l’uso del denaro pubblico, in linea con le regole comunitarie sull’intervento della mano statale nell’economia. È lecito, però, chiedersi se questo sia l’unico nodo.  Alcuni osservatori sospettano che una fetta importante dell’establishment italiano guardi all’ipotesi di bad bank con freddezza. In cuor suo, quest’ultimo sa perfettamente che solo liberando i bilanci dalle sofferenze creditizie sarà possibile aiutare un rilancio dell’economia. Tuttavia, ai suoi occhi la bad bank comporta non pochi rischi. Tra i crediti che andrebbero ristrutturati e venduti vi sono anche molti prestiti che gli istituti di credito hanno concesso negli anni, spesso in perdita, ai propri azionisti, piccoli e grandi imprenditori, piccoli e grandi notabili. Il caso della Banca Popolare di Vicenza è simbolico. L’istituto di credito ha prestato denaro ai propri azionisti per finanziare un aumento di capitale, necessario per far fronte a sofferenze crescenti. Vi è inevitabile e comprensibile ritrosia ad accettare che il gestore di una eventuale bad bank possa imporre per legge ai debitori-azionisti perdite economiche o, peggio, ristrutturazioni aziendali. Sorprende, a questo punto, che la trattativa tra Bruxelles e Roma vada così a rilento? Nel negoziato, l’Italia chiede alla Commissione – probabilmente a ragione – maggiore flessibilità sull’applicazione delle regole sugli aiuti di Stato, citando la lunga recessione economica che ha colpito il paese e le sue banche. Il nodo frena le trattative. Ma è anche probabile che l’ipotesi di bad bank sia indigeribile per molti esponenti dell’establishment economico e politico. Alla pari del debito pubblico, il settore creditizio italiano è il riflesso di clientelismi politici ed economici, come dimostra tra le altre cose anche l’elevato numero di crediti inesigibili. Nello stesso modo in cui la spesa pubblica olia meccanismi spesso inconfessabili, sovente i prestiti bancari si rivelano essere favori a famiglie e amici. Agire sui due fronti significa accettare di mettere mano alla struttura stessa della società italiana. L’impressione da Bruxelles è che il momento sia giunto per farlo. In Italia, le sofferenze bancarie sono il 17% del totale dei prestiti concessi dagli istituti di credito. A titolo di confronto, in Germania sono il 3%, in Francia il 4%, in Spagna il 7%.

(Nella foto, la commissaria alla Concorrenza, l’ex ministro delle Finanze danese Margrethe Vestager, 47 anni)

NB: Dal fronte di Bruxelles (ex GermaniE) è anche su Facebook

  • Hermann Bollinger |

    Sono sicuro che queste cose succedono, ma mi sembra improbabile che numericamente questo fenomeno possa essere rilevante. Mi spiego: un ‘riguardo’ usato selettivamente nei confronti di pochissimi debitori ‘privilegiati’ difficilmente può essere la forza motrice dei non performing loans. I casi a cui lei fa riferimento, rappresentano (mi auguro e spero) una porzione minoritaria dei crediti iscritti a bilancio.

    Per il management di una banca oberata dalle sofferenze, vale a dire quasi tutte le nostre banche nel 2016, la possibilità di alleggerire il bilancio (a termini equi, per tutte le parti coinvolte) in una Bad Bank è un obiettivo talmente forte (quasi esistenziale), che difficilmente potrebbe essere fermato dalle considerazioni fatte in precedenza, a mio modo di vedere. Tanto più, se si può evitare di trasferire alla bad bank alcuni crediti ‘particolari’ ai quali si vuole riservare un trattamento di riguardo (pratica deprecabile, sia chiaro, ma tecnicamente fattibile).

    Le do atto, però, che una notizia, uscita ieri, suggerisce che effettivamente l’ECB voglia esaminare la gestione dei crediti di alcune banche italiane. Vedremo se è una richiesta di rito o se nasconde qualcosa di più sostanziale.

    “Verona, 18 January 2016
    With reference to today’s request by CONSOB, Banco Popolare informs that the ECB, as part of the ordinary and ongoing supervision activities carried out on supervised banks, will implement, in the period January-February, a cognitive survey on the governance, strategy, processes and methodologies adopted by Banco Popolare in its management of NPLs.”

  • Beda Romano |

    Gentile Hermann Bollinger, secondo me un investitore che compra il credito sarà molto più veloce nell’attivare le procedure di insolvenza o nel ristrutturare il credito imponendo condizioni particolarmente dure. Questo agli azionisti o ai dirigenti di quelle imprese, che spesso siedono nei consigli di amministrazione delle banche, piace poco. Sale quindi la pressione sulla banca per evitare questi passi e aspettare che la situazione migliori.
    B.R.

  • Hermann bollinger |

    Quello che scrive mi sembra quantomeno bizzarro. Le perdite le subisce la banca, che ha erogato il prestito, non il debitore, che ha ricevuto i soldi e non li restituisce. Se ci fossero aziende più o meno sane, dietro a queste sofferenze, esse non sarebbero sofferenze! Il governo ha anche reso più efficaci le procedure fallimentari, per dare maggior potere contrattuale ai creditori. Su questo non la seguo. Se così fosse, significherebbe che le sofferenze sono dovute ad un comportamento due volte truffaldino da parte delle alte dirigenze delle banche: prima la concessione del credito a soggetti privi di merito creditizio; poi, come se non bastasse, una gestione della sofferenza volutamente deficitaria, atta a non recuperare veramente il maggior valore possibile, per non colpire il debitore (che in realtà è connivente). Detto così mi sembra parecchio contorto. Poi vai a sapere.

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