Competitività dell’Italia – L’evoluzione dei salari è solo uno dei fattori

La competitività dei paesi appartenenti alla zona euro può essere calcolata in vari modi. Le istituzioni europee – Commissione e Banca centrale – mettono l'accento normalmente sull'andamento dei salari. Hollande-letta-400x266Qui a Bruxelles durante una conferenza organizzata dal Gruppo Ambrosetti è stato presentato un rapporto nel quale la competitività dei paesi dell'Unione è stata misurata sulla base di 10 criteri: l'apertura dell'economia, l'innovazione e l'istruzione, la stabilità macroeconomica, l'ambiente economico, il mercato del lavoro, il benessere, la finanza, il settore pubblico, l'ambiente, e la presenza più o meno estesa ed efficiente di reti. Ogni criterio ha un peso del 10%, salvo l'apertura dell'economia così come l'innovazione e l'istruzione che pesano il 15%, l'ambiente e le reti che invece pesano il 5% nel paniere ideato da Ambrosetti. Il risultato della ricerca è stato impressionante. Emerge una Europa divisa in quattro: l'Europa del Nord particolarmente competitiva (tra cui la Svezia e la Finlandia), seguita dall'Europa dell'Ovest (nella quale ci sono Germania e Francia), l'Europa dell'Est (che conta Ungheria e Repubblica Ceca) e infine l'Europa del Sud. La classifica mostra l'Italia alla terz'ultima posizione, appena prima di Grecia e Romania.


Su un voto totale di 10, l'Italia ottiene il 3,70. A titolo di confronto, il paese più competitivo, il Lussemburgo, ha un voto del 7,07.  Negli ultimi cinque anni, la posizione italiana nella classifica è rimasta stabile. La Germania ha guadagnato tre posti; la Francia ne ha persi due. Nel 2008, al prima posto c'era la Svezia, scesa al secondo posto nel 2013. Da notare il crollo della Spagna e di Cipro, scese ambedue di quattro posizioni; e la salita dell'Ungheria del criticato presidente nazionalista Viktor Orbán, balzata di sei posizioni. Le imprese interpellate dal Gruppo Ambrosetti considerano che un mercato unico è molto importante, soprattutto in un momento di crisi economica. Ciò detto, nel settore industriale il livello percepito di integrazione è ancora basso (il voto è del 6,12 su 10). Le imprese esprimono poi incertezza sulla possibilità che l'Europa riesca a raggiungere l'obiettivo di un'industria pari al 20% del prodotto interno lordo entro il 2020. Il 51,4% degli interpellati teme che da qui alla fine del decennio la quota sia inferiore all'attuale 17%. Nello studio, il Gruppo Ambrosetti elenca le speranze del mondo imprenditoriale che chiede: esenzioni fiscali per gli investimenti in ricerca e sviluppo, una riduzione delle procedure e dei costi per la nascita di una nuova attività, un migliore accesso al credito, un'armonizzazione delle condizioni bancarie tra i paesi membri. In un'ottica italiana, emerge l'impressione che la modernizzazione del paese non potrà limitarsi all'evoluzione dei salari e dovrà essere considerato un progetto di lunga lena e ad ampio raggio.

 

(Nella foto, il presidente francese François Hollande et il presidente del Consiglio italiano Enrico Letta in un recente incontro. I loro paesi sono in difficoltà per quanto riguarda la competitività economica)

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