La presidente eletta della Commissione europea Ursula von der Leyen deciderà presumibilmente questa settimana se il nuovo candidato-commissario del governo francese, Thierry Breton, è la persona giusta al posto giusto. Sappiamo che il presidente francese Emmanuel Macron vorrebbe che all’imprenditore ed ex ministro fosse promesso lo stesso portafoglio che era stato affidato a Sylvie Goulard, sfortunata candidata bocciata dal Parlamento europeo. La delega è ampia, include l’industria, il mercato unico, lo spazio, la difesa, il digitale.
E’ probabile che la signora von der Leyen darà il suo benestare al nuovo candidato francese. Ma come reagirà il Parlamento europeo che sarà chiamato a sentirlo in audizione? L’esperienza di Thierry Breton è tipica di una fetta importante dell’establishment francese, spesso a cavallo tra pubblico e privato. Mentre il pantouflage è guardato con relativa accondiscendenza in Francia, anche perché in fondo riflette il successo del dirigismo economico del paese, in Europa è diventato fonte di dubbi e di interrogativi.
Entrambi i candidati francesi hanno avuto carriere tanto brillanti quanto atipiche. Dopo essersi diplomata dall’Ecole nationale d’administration, la signora Goulard è entrata in diplomazia, poi dopo un passaggio alla Commissione europea, è uscita dalla funzione pubblica ed è entrata in politica, eletta a Strasburgo nel 2009 e nuovamente nel 2014. Il Parlamento europeo ha bocciato la sua candidatura perché ha criticato il fatto che sia stata remunerata, pur legalmente, da una fondazione americana, il Berggruen Institute, mentre era deputata. Dopo un breve periodo alla guida del ministero della Difesa nel 2017, è diventata vice governatrice della Banca di Francia.
La carriera di Thierry Breton è stata altrettanto interessante. Dopo essersi diplomato dall’Ecole supérieure d’électricité, il candidato-commissario è stato dirigente di aziende pubbliche e private, e anche ministro delle Finanze. Oggi la sua candidatura ha già sollevato nel Parlamento europeo i dubbi di alcuni deputati socialisti, verdi e della sinistra radicale. Si chiedono se l’uomo non incarni troppi conflitti d’interesse. La società che ha diretto finora, il gruppo Atos, ha ottenuto negli anni generosi aiuti europei.
I passaggi dal pubblico al privato, dal pubblico alla politica, dalla politica al privato – vale a dire in senso ampio il cosiddetto pantouflage – sono una caratteristica francese, ma non solo. In Germania o in Belgio, molti uomini politici siedono prima o poi nei consigli di sorveglianza di imprese bancarie e non. In Francia, tuttavia, la particolarità fa discutere. Le grande écoles, pubbliche e private, formano dirigenti d’impresa e amministratori pubblici di spessore. Le imprese private se li contendono sia per la loro preparazione che per i loro contatti.
Chi passa un concorso ed è ammesso in una grande école pubblica – ENA, Ecole Normale Supérieure, Ecole des Ponts et Chaussées, Ecole des Mines, Polytechnique etc – è destinato a una carriera nella funzione pubblica. Se decide di dimettersi prima della scadenza del decimo anno di servizio è obbligato a rimborsare i costi sostenuti dallo Stato per la sua formazione, a cominciare dallo stipendio che riceve fin dall’ingresso nella scuola. Lo stesso Emmanuel Macron ha pantouflé: dopo aver passato il concorso dell’ENA, è entrato al ministero delle Finanze che ha poi abbandonato per lavorare da Rothschild & Cie. Successivamente, è tornato nella pubblica amministrazione – da vice segretario generale dell’Eliseo – per poi finalmente entrare in politica.
I francesi sono ben consapevoli dei rischi di questo sistema. Nel corso dei decenni hanno introdotti limiti e condizioni al pantouflage. Gli stessi énarques sono ormai ritenuti una casta, segnata da una buona dose arroganza e in alcuni casi d’impunità, tanto che il presidente Macron ha annunciato di voler abolire l’ENA. Eppure, le grandes écoles – quelle pubbliche sono state fondate per la maggior parte nel periodo napoleonico, quelle private risalgono alla fine dell’Ottocento – restano un pilastro del sistema educativo e una filiera dell’aristocratie du mérite.
Dopo aver bocciato la signora Goulard a metà ottobre in modo discutibile, i deputati europei che ora ascolteranno Thierry Breton dovranno tenere a mente che il sistema francese negli ultimi 30 anni ha garantito in nome dell’Europa due presidenti della Banca centrale europea, tre direttori generali del Fondo monetario internazionale e un presidente dell’Organizzazione mondiale del Commercio.
(Nella foto, il nuovo commissario designato dalla Francia, Thierry Breton, 64 anni)