Dopo qualche giorno di tira-e-molla, l’establishment comunitario ha dovuto ammettere che la Commissione europea presieduta da Ursula von der Leyen non potrà entrare in carica il 1° novembre, come previsto inizialmente. Mancano all’appello tre commissari: tutti bocciati in un modo o nell’altro dall’assemblea parlamentare. Francia, Romania e Ungheria devono quindi presentare un nuovo candidato. Ormai si guarda alla data del 1° dicembre, se tutto andasse per il verso giusto.
Potremmo attribuire la scelta parlamentare a un legittimo controllo democratico. In parte è così, anche se l’impressione è che le audizioni siano state molto politicizzate, con esiti molto discutibili (a questo proposito segnalo una lettera aperta sul caso che ha coinvolto la candidata francese Sylvie Goulard e nella quale alcune personalità europee chiedono una nuova audizione). Più in generale, tuttavia, la nuova legislatura è segnata da un acceso confronto tra le principali istituzioni comunitarie, ossia il Parlamento, la Commissione e il Consiglio. Dinanzi a un processo di integrazione che ha una sua inevitabile forza d’inerzia, il Consiglio, intergovernativo per definizione, si oppone quando può alle scelte delle altre due istituzioni, che invece sono sovrannazionali. Tre casi sono emersi nelle ultime settimane.
Il primo, come detto, riguarda la nomina della nuova Commissione europea. Dietro alla bocciatura dei tre candidati vi sono dubbi sulle diverse personalità e il desiderio da parte del Parlamento europeo di fare sentire la propria voce, ma anche la voglia di riprendere possesso dell’iter di nomina dell’esecutivo comunitario dopo che il Consiglio europeo si è opposto al principio dello Spitzenkandidat, ossia alla nomina alla presidenza della Commissione europea del capolista vincitore alle elezioni europee. Mentre il Consiglio cerca di contrastare la tendenza comunitaria, il Parlamento tenta di riprendere la mano.
Un altro caso recentissimo riguarda la decisione di congelare per ora il processo di allargamento dell’Unione. Ad Albania e Macedonia del Nord non verrà concesso di iniziare i negoziati di adesione. In questo caso nel mirino del Consiglio vi è l’altra istituzione sovrannazionale: la Commissione. Bruxelles aveva suggerito ai Ventotto di aprire le porte ai due paesi del Balcani. Francia, Olanda e Danimarca si sono opposte, nonostante la promessa presa in giugno di accettare la raccomandazione comunitaria.
Il terzo caso, anche questo recentissimo, riguarda il progetto di bilancio comunitario per il 2021-2027, presentato dalla Commissione europea in maggio. Per ora, i Ventisette si sono limitati a respingerlo d’emblée. Nelle discussioni della settimana scorsa, le divergenze sono state evidenti. E’ iniziata una trattativa lunga e complicata che tradizionalmente ha visto i governi tentare di ridimensionare le proposte dell’esecutivo comunitario. Questa volta non sarà diverso, anche se il dibattito rischia di essere più acceso che in passato. Addirittura sull’ultimo anno del bilancio 2014-2020, il Consiglio ha respinto in blocco gli emendamenti presentati dal Parlamento.
“Nell’iter legislativo, i governi vorrebbero che il Parlamento si limitasse burocraticamente ad approvare le scelte del Consiglio. Non è più così”, spiega un diplomatico. La tensione tra metodo intergovernativo e metodo comunitario ha fatto la storia dell’integrazione europea. Oggi però mette in scena una crisi istituzionale di cui nei fatti è ostaggio la nascente Commissione europea. Perché il Consiglio si è fatto più arcigno e occhiuto che in passato? Probabilmente perché i partiti sovranisti, presenti ovunque in Europa, inducono i governi ad atteggiamenti più nazionalisti.
Al netto dei danni che questa situazione potrà provocare, vi è un aspetto positivo per chi crede nell’Unione europea: la forza d’inerzia che segna bene o male il processo di integrazione europea. L’iter non è fermo, congelato. Continua a progredire, magari lentamente e con il rischio di dannose inversioni a U, ma le scelte politiche continuano ad avere ricadute pratiche nel tempo, e comunque modificano i termini del dibattito. Paradossalmente, lo scontro istituzionale è sintomo di come l’integrazione europea sia viva.
(Nella foto, la presidente eletta della Commissione europea, l’ex ministra della Difesa tedesca Ursula von der Leyen, 61 anni)