Dietro ai tanti e confusi avvenimenti di queste ultime settimane sembra delinearsi da parte della Commissione europea un atteggiamento nuovo, meno federalista di quanto non fosse in precedenza, più attento alle sensibilità politiche nazionali. Tre sono i dossiers che hanno mostrato questa nuova tendenza: la politica migratoria, la politica commerciale, la politica di bilancio. Nei tre casi, l’esecutivo comunitario ha scelto la strada confederale, rispettando nei fatti il volere nazionale. L’obiettivo è di garantire la compattezza dell’Unione ed evitare scompensi a livello nazionale, ma c’è da chiedersi se dietro a una facciata di unità non si nascondano pericolose tensioni disgregative. Sul fronte migratorio, nei fatti la Commissione europea ha deciso di non procedere contro i paesi che finora non hanno voluto effettuare il ricollocamento di rifugiati arrivati in Italia e in Grecia, come stabilito dallo stesso Consiglio nel 2015. I governi dell’Est Europa, in particolare, si sono rifiutati di applicare le scelte comunitarie. Bruxelles non ha aperto alcuna procedura di infrazione, notando che la misura è da attuare in due anni. In realtà, sembra proprio che l’esecutivo comunitario non se la senta di aprire una controversia con paesi nei quali l’opinione pubblica è profondamente contraria all’immigrazione. Nei fatti, ha accettato lo status quo. Sul versante commerciale, è avvenuta più o meno la stessa cosa. L’accordo di libero scambio con il Canada (CETA) poteva essere considerato una intesa europea, da fare approvare dal Parlamento europeo e dal Consiglio europeo. In luglio, invece, la Commissione europea ha deciso di considerarla una intesa mista, accettando singole ratifiche nazionali da parte dei paesi membri. La scelta è avvenuta dinanzi alle crescenti rimostranze popolari contro gli accordi commerciali. Anche qui, nei fatti, l’esecutivo comunitario ha lasciato l’ultima parola ai paesi membri. Ultimo fronte è quello del bilancio. La partita in questo caso è ancora aperta, ma sembra chiaro che in questa fase la Commissione europea abbia deciso di non essere troppo combattiva. La Finanziaria italiana è in evidente violazione del Patto di Stabilità e di Crescita. Ciononostante, nella lettera inviata al governo italiano questa settimana, Bruxelles non lo scrive neppure. Si limita a notare scostamenti “sostanziosi” tra impegni e proiezioni, promesse e obiettivi, e a chiedere chiarimenti. Nello stesso modo in cui la Commissione europea non se l’è sentita di imporre la ratifica del CETA a livello europeo o di aprire procedure di infrazione contro i paesi dell’Est perché non applicano il ricollocamento dei rifugiati in tutta Europa, l’esecutivo comunitario si vuole clemente nei confronti dei paesi con i bilanci più controversi, preoccupata all’idea di aizzare il governo e l’opinione pubblica contro le istituzioni comunitarie. Il caso italiano non è poi così dissimile dalle vicende che segnano i conti pubblici spagnoli o portoghesi. In questa fase, Bruxelles privilegia l’attenzione alle sensibilità nazionali e il desiderio di mantenere per quanto possibile l’unità dei Ventotto. Mai come oggi, la Commissione del presidente Jean-Claude Juncker si rivela politica. Se prima cavalcava l’idea di una Europa federale, oggi sembra fare marcia indietro, avallando il confederalismo europeo. All’inizio del mese, lo stesso Juncker ha affermato a Parigi: “Bisogna smetterla di parlare degli Stati Uniti d’Europa, la gente non li vuole”. E’ comprensibile mentre in molti paesi cresce l’euroscetticismo, ma il rischio è di assistere, dietro alla facciata, all’emergere di crepe profonde. Sul fronte migratorio, la posizione dei paesi dell’Est irrita sempre i paesi del Sud. Sul fronte commerciale, il tira-e-molla belga sul futuro del CETA – con l’imbarazzante cancellazione del vertice bilaterale di oggi da parte del premier canadese Justin Trudeau – rimette in discussione la credibilità dell’Unione nel grande campo dei trattati internazionali. Sul fronte economico, l’applicazione del Patto di Stabilità e di Crescita è sempre più annacquata, e le regole sono sempre più disattese. Momento passeggero o scelta definitiva? Bisogna sperare che, come dicono i francesi, la Commissione europea abbia deciso di reculer pour mieux sauter, vale a dire indietreggiare per meglio prendere la rincorsa e saltare la prossima volta più lontano.
(Nella foto, il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, a destra. A sinistra, l’ex presidente del Consiglio italiano Enrico Letta; al centro l’attuale presidente francese François Hollande)
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