Sono trascorsi pressoché sei mesi da quando Friedrich Merz, 69 anni, è stato eletto alla guida della Repubblica Federale. A tutta prima il cancelliere sembrerebbe aver deluso: gli stessi sondaggi non lo premiano.
In febbraio, la coalizione CDU-CSU e SPD aveva ottenuto nelle urne il 44,9% dei suffragi. Oggi la Grosse Koalition raccoglie tra il 40 e il 42% delle intenzioni di voto.
Concentriamoci su tre temi che hanno tenuto banco in questi primi sei mesi: il rapporto con gli Stati Uniti, la relazione con Israele, il futuro della difesa europea. In tutti e tre i casi, il cancelliere è apparso ambiguo, se non ondivago e incerto.
L’ambiguità nei confronti dell’America e di Israele
Sul fronte americano, all’inizio dell’anno si era espresso senza remore. All’indomani della vittoria alle elezioni federali, aveva spiegato che la “priorità assoluta” della Germania è di rafforzare l’autonomia strategica dell’Europa fino a raggiungere “progressivamente l’indipendenza rispetto agli Stati Uniti”.
“Non mi faccio alcuna illusione su ciò che sta accadendo in America”, aveva aggiunto, riferendosi all’amministrazione Trump ed evocando la nascita di una capacità di difesa europea autonoma, in alternativa “alla Nato nella sua forma attuale”.
Da allora, la posizione è diventata meno netta. Berlino ha giocato un ruolo di primo piano nel modellare la posizione negoziale europea, raffreddando l’idea di usare la mano pesante nella diatriba commerciale con Washington.
Sul fronte israeliano, in piena guerra a Gaza, Friedrich Merz ha annunciato in agosto il blocco delle esportazioni di armi verso Gerusalemme. Nel contempo, il governo federale si è opposto strenuamente all’ipotesi di sanzioni comunitarie contro Israele.
Evidentemente, pur non sposando pienamente l’idea merkeliana di una Staatsräson nel rapporto tra Berlino e Gerusalemme, il cancelliere Merz rimane molto cauto quando si tratta di rimettere in discussione la relazione con Israele.

Infine, anche l’atteggiamento sul fronte della difesa è stato ondivago. Certamente, Berlino ha deciso di spendere quanto non mai. La Germania ha modificato la sua Costituzione per consentire un forte aumento del debito da dedicare alla sicurezza.
Tuttavia, molto del denaro andrà ad acquistare armi americane, almeno nei settori più delicati. Secondo fonti di stampa, nel 2026 il governo federale intende avviare acquisti di 15 caccia F-35, 400 missili Tomahawk, tre lanciatori di missili Typhoon Lockheed, e quattro aerei di pattugliamento marittimo Boeing P-8A Poseidon.
Peraltro, nei negoziati diplomatici in Consiglio, la Germania non ha mai voluto sposare pienamente l’idea francese di Buy European. La scelta di preservare il rapporto con gli Stati Uniti ha a che vedere con antiche collaborazioni militari, con vecchi rapporti nel campo della sicurezza, e forse anche con le radici atlantiste del cancelliere.
I segnali positivi
Nel contempo, bisogna ammettere che il governo tedesco ha lanciato segnali interessanti, di possibile rottura. Di recente, Friedrich Merz ha proposto di creare un mercato azionario europeo. L’idea è antica. Già 25 anni fa il governo Schröder tentò la stessa via, cavalcando le fusioni e acquisizioni di Deutsche Börse.
Allora l’operazione non andò in porto, perché il progetto appariva troppo tedesco-centrico e perché non era prevista ai tempi la sorveglianza unica dei mercati finanziari. È pronto questa volta il governo tedesco ad accettare una centralizzazione della vigilanza?
Secondo le informazioni raccolte a margine del vertice europeo della settimana scorsa, il cancelliere Merz si sarebbe detto disponibile con le sue controparti anche a completare il mercato unico dell’elettricità.
Se la tesi di un cancelliere ambiguo e ondivago è corretta, la ragione va ricercata probabilmente nella difficile posizione in cui si trova il capo del governo, stretto fra una risicata maggioranza democristiana-socialdemocratica (appena 12 seggi al Bundestag) e la forza crescente di Alternative für Deutschland a destra.
In questo senso va letta una intervista alla Frankfurter Allgemeine Zeitung pubblicata il 17 ottobre. Al cancelliere Merz i giornalisti del quotidiano conservatore hanno fatto notare che “la tendenza nell’Unione europea è ora quella di riportare la sovranità agli Stati nazionali”.
La forza dell’AfD
Vale la pena pubblicare per intero la risposta: “Il metodo dell’integrazione – ha spiegato il cancelliere – ha raggiunto i suoi limiti provvisori con 27 Stati membri. Ora è molto più importante la cooperazione tra i governi. Per questo motivo sto cercando di stringere alleanze con Francia, Polonia, Italia e paesi dell’Europa settentrionale. In questo modo intergovernativo si possono ottenere grandi risultati”.
La scelta della cooperazione intergovernativa, anziché del metodo comunitario, è forse politicamente comprensibile, ma quanto efficace e promettente in questo frangente?
Gli stessi tedeschi non sembrano convinti dall’ambigua strategia di Friedrich Merz. L’AfD veleggia nei sondaggi tra il 25 e il 26% delle intenzioni di voto. Alle legislative del febbraio scorso, il partito nazionalista aveva ottenuto il 20,8% dei suffragi.