Prove tedesche di politica economica europea – La crisi induce a ripensamenti

Il Deutsches Historisches Museum sulla Unter den Linden di Berlino, l’antica armeria reale voluta da Federico I di Prussia, ospita in questi mesi una mostra dedicata al Secolo dei Lumi: “Was ist Aufklärung?” (Che cosa è l’Illuminismo?).

È l’occasione per ricordare che il Settecento gettò le basi delle rivoluzioni liberali, della modernizzazione economica, dell’emancipazione delle donne e dello stato laico. In fondo la mostra non potrebbe essere più attuale, mentre il grande mercato globale è sempre più frammentato, i paesi si richiudono su sé stessi e le guerre si moltiplicano.

Sondaggio in diretta

Tra i tanti dipinti e oggetti in mostra ha colto la mia attenzione una vetrina dedicata al mondo dell’economia. Strizzando l’occhio all’attualità, gli organizzatori chiedono ai visitatori se un governo debba più investire o più risparmiare. Due piccole urne consentono un sondaggio in diretta.

Ebbene, una maggioranza dei visitatori del Deutsches Historisches Museum crede che il compito prevalente del governo sia di investire (almeno così emergeva dalle urne durante una mia recente visita domenica 1° dicembre).

Che la Germania sia sul punto di rinnegare l’ortodossia di bilancio? Dopo numerose conversazioni berlinesi, la risposta è No. Ma certamente vi è un cambio di atmosfera. La carenza drammatica di investimenti è emersa evidente proprio mentre la Repubblica Federale attraversa una crisi non solo economica, ma soprattutto politica.

Il paese ha perso i propri capisaldi: la Russia per l’energia, la Cina per il commercio, gli Stati Uniti per la sicurezza. In ultima analisi la Repubblica Federale non è altro che l’inevitabile vittima dello sgretolamento dell’ordine mondiale voluto dall’America prima nel 1945 e poi nel 1989, e di cui la Germania fu due volte protagonista.

Secondo un sondaggio della Fondazione Körber, un ente privato con sede ad Amburgo, pubblicato a metà novembre, il 79% dei tedeschi considera che la seconda presidenza di Donald Trump avrà un impatto negativo sulle relazioni con gli Stati Uniti.

Attenzione: la parola Schuld non ha cambiato significato in tedesco. Indica sempre debito e colpa. Eppure, l’establishment tedesco si rende conto di dover rivedere alcuni principi, a cominciare da quello del freno al debito inserito in Costituzione ormai più di dieci anni fa.

Aperture sul Schuldenbremse

Lo stesso leader democristiano e probabile futuro cancelliere Friedrich Merz ha detto a proposito di una riforma dello Schuldenbremse: “Nulla è mai del tutto fuori discussione”. Dello stesso avviso il governatore della Bundesbank Joachim Nagel.

Tra il 2017 e oggi la produzione industriale è calata del 17%. Una relazione recente dell’associazione imprenditoriale BDI stima che il paese nel solo settore industriale ha bisogno di investimenti addizionali per 1.400 miliardi di euro da qui al 2030. Nuovi investimenti sono necessari anche nelle infrastrutture e naturalmente nella difesa. Dei 100 miliardi di euro annunciati nel 2022 per rafforzare le forze armate, 25 miliardi sono già andati esclusivamente all’acquisto di parti di ricambio.

Secondo le ultime previsioni della Commissione europea, nel 2025 la Germania avrà il secondo tasso di investimenti pubblici più basso di tutti i paesi dell’Unione europea, poco prima dell’Irlanda. In compenso nel 2023 ha registrato l’ammontare più elevato di investimenti dall’estero (superando gli Stati Uniti).

Negli anni 90, subito dopo l’unificazione, la Repubblica Federale rifiutò l’aiuto europeo propostole dall’allora presidente della Commissione Jacques Delors. Preferì orgogliosamente finanziare da sé l’immane lavoro di unire le due Germanie.

Oggi, a sorpresa, l’establishment tedesco guarda senza eccessive preclusioni al dibattito europeo su nuove forme di finanziamento in comune. Rimane preoccupato dalla necessità di rimborsare il debito assunto con il NextGenerationEU (800 miliardi di euro) e non crede d’emblée all’emissione di obbligazioni europee, ma è disposto a discutere di formule che associno contributi privati e versamenti pubblici.

Piace l’idea di finanziare beni pubblici europei. Sempre lo studio demoscopico della Fondazione Körber di metà novembre rivela che sulla scia delle elezioni negli Stati Uniti e della caduta del governo Scholz, il 73% dei tedeschi ritiene che la Germania debba investire di più nella sicurezza europea.

Le diverse opzioni

Le opzioni concretamente prevedono nuovo debito della Commissione europea sulla scia del NextGenerationEU oppure denaro proveniente da un bilancio comunitario ingrandito oppure ancora nuovo debito garantito dagli Stati, come avvenne con il meccanismo SURE (l’acronimo sta per Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency).

Tendenzialmente, la Germania si accontenterebbe di scelte limitate, per esempio un programma di spesa finanziato in parte anche da denaro europeo, ma che nei fatti rimarrebbe prettamente nazionale. In cuor loro, tuttavia, molti tedeschi sanno che rafforzare la difesa su basi nazionali rischia di risultare inutilmente costoso e di far perdurare vecchie inefficienze (i Ventisette contano 17 diversi modelli di carri armati, rispetto a uno solo negli Stati Uniti).

Sempre sul fronte finanziario, per anni la Germania ha ostacolato la nascita di un mercato unico dei capitali in Europa, per paura di trasferire il controllo dei mercati finanziari dalla periferia al centro e di perdere il controllo di uno strumento di politica economica.

Oggi l’establishment è assai più disponibile, tanto è alla ricerca di denaro fresco. Addirittura, esponenti berlinesi parlano di rafforzare il ruolo dell’Autorità europea dei mercati finanziari (ESMA) nello stesso modo in cui in passato è stata trasferita dalle autorità nazionali alla Banca centrale europea la vigilanza bancaria.

In questo senso il 2025, anno peraltro di elezioni legislative nella Repubblica Federale, sarà cruciale per capire se la Germania è finalmente pronta ad abbandonare la visione prettamente confederale dell’Europa che il paese ha coltivato negli ultimi decenni e che oggi mostra terribilmente la corda.

Intanto, il sondaggio in diretta organizzato dal Deutsches Historisches Museum potrebbe essere una spia rivelatrice.

(Nella foto il sondaggio organizzato dal Deutsches Historisches Museum durante una visita il 1° dicembre 2024)

  • habsb |

    egr. dr. Romano
    è interessante osservare che se la produzione industriale tedesca è scesa del 17% negli ultimi 7 anni, il debito pubblico tedesco è aumentato nello stesso periodo di un buon 31%
    E’ quindi molto difficile immaginare una correlazione positiva fra spesa pubblica e produzione industriale: cio’ è smentito dalla realtà dei fatti.
    Ben altre , e strutturali, sono le cause del calo industriale tedesco.
    1° una buona metà di questo calo si è manifestata negli ultimissimi anni, con la fine dell’energia russa a buon mercato. Oggi l’elettricità tedesca costa quasi il doppio che negli USA e più del quadruplo che in Cina. In queste condizioni è difficile investire con profitto nell’industria. Cio’ è stato causato da una geostrategia aggressiva che ha rifiutato quel dialogo e quel compromesso con il gigante russo che erano perdurati lungo tutta l’epoca della guerra fredda.
    2° il mercato cinese, è diventato più difficile, con un’industria cinese sempre più efficace che puo’ perfino competere nel mercato europeo. Cio’ è inevitabile con l’ascesa della Cina e non dipende dalle scelte politiche tedesche
    3° la manodopera est-europea è affluita molto meno in Germania che in precedenza, perche’ i paesi dell’ex patto di Varsavia sviluppano la loro propria attività industriale e nei servizi, grazie a una politica economica piuttosto liberale e a tassazione moderata. Cio’ ha l’effetto fra l’altro di creare attori industriali efficaci che rendono più difficile la penetrazione dei loro mercati da parte delle industrie tedesche. Tale manodopera, vicina culturalmente e istruita viene rimpiazzata da altre popolazioni più difficili da integrare. Anche cio’ sfugge in parte alle decisioni politiche ma potrebbe essere attenuato da una politica fiscale e industriale prossima a quella dei paesi est europei.

    In buona sostanza non servirà alla Germania aumentare la sua spesa pubblica incrementando gli interessi pagati alle banche internazionali sul debito pubblico. Le accresciute difficoltà sui mercati esteri e il costo elevato dell’energia continueranno a pesare sull’industria tedesca con effetti simili a quelli che hanno desindustrializzato prima il Regno Unito poi la Francia.

    E’ vero che le forze elitiste che spingono per un potere centrale sempre più forte utilizzeranno la paura del declino industriale per far lanciare programmi di rilancio keynesiano. Gli stessi che reso UK e Francia degli zombie industriali, che pagano 2% del loro PIB in interessi sul debito, senza poter investire sul loro futuro, e spesso e volentieri garantire quei servizi di sicurezza sociale che dovrebbero fare il loro vanto.

    E’ proprio questa “defaillance” sociale e di ordine pubblico che alimenta grandemente un voto di destra sovranista e populista in tutta l’Europa che puo’ dispiacere ad alcuni ma che resta la sola dinamica con il vento in poppa nel quadro politico europeo.

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