Lascia l’amaro in bocca la scelta del principale partito italiano, Fratelli d’Italia guidato da Giorgia Meloni, di non dare la fiducia alla neopresidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Non sempre quest’ultima ha avuto posizioni felici.
Personalmente non amo il suo eccessivo filoatlantismo; spesso non condivido le sue scelte nel rapporto con Mosca; troppo sovente è stata al traino del Consiglio, cavalcando un approccio intergovernativo; non mi piace in generale la sua vena spietatamente opportunistica e la sua gestione accentratrice, e quindi poco trasparente.
Al tempo stesso, dobbiamo ammettere che Ursula von der Leyen ha preso di petto i problemi di questi ultimi anni. Ha visto prima di altri i pericoli derivanti dal cambiamento climatico; ha reagito con innegabile forza d’animo alla pandemia; ha gettato le basi per una difesa più comune e per una unione dell’energia.
Perché ha votato contro?
Perché il governo italiano ha deciso di astenersi al Consiglio europeo in occasione della designazione di Ursula von der Leyen? Perché due partiti su tre della coalizione al potere a Roma – vale a dire Fratelli d’Italia e la Lega – hanno deciso di non sostenerla a Strasburgo in occasione del voto di fiducia che si è tenuto giovedì 18 luglio?
A meno che, in ultima analisi, l’obiettivo non sia di uscire dall’Unione europea, la scelta appare poco lungimirante. L’Italia si è auto-marginalizzata due volte in un contesto, quello comunitario, dove un paese membro non può pensare di giocare all’opposizione, soprattutto in una fase come questa.
Agire dall’interno della maggioranza a Strasburgo e a Bruxelles avrebbe permesso alla premier Meloni di far valere le sue idee. Peraltro, della Commissione europea Roma ha bisogno, non fosse altro che per rispondere alle crisi migratorie, alle tempeste climatiche, alle emergenze energetiche, alle urgenze economiche.
Guardare al centro, mantenendo radici a destra è un esercizio acrobatico che rischia di portare all’infruttuosità, oltre che a numerose contraddizioni. Sempre questa settimana a Strasburgo Fratelli d’Italia ha tentato, senza riuscirci, di annacquare le critiche contro l’Ungheria, per via delle visite del premier ungherese Viktor Orbán a Mosca, contenute in una risoluzione. Ciò non ha impedito al partito di approvare lo stesso testo, in toto.
Le ambizioni del paese
Non so se la decisione di Giorgia Meloni nel voto di fiducia di giovedì scorso si ripercuoterà sulle ambizioni del paese di avere un ruolo di primaria importanza nel prossimo collegio dei commissari. In questi mesi, ho trovato poco elegante – e soprattutto pretestuosa, se non addirittura inutile – la richiesta, brandita pubblicamente, di ottenere una posizione di rilievo.
Storicamente, l’Italia ha sempre pesato nelle istituzioni comunitarie. Dall’inizio del secolo, in poco più di 20 anni, il paese ha dato all’Europa due presidenti del Parlamento europeo, un presidente e un vicepresidente della Commissione europea, un presidente della Banca centrale europea, un presidente del Consiglio europeo di vigilanza bancaria, un Alto Rappresentante per la Politica estera e di Sicurezza, un commissario agli affari economici.
C’è in Giorgia Meloni una vena vittimistica; la stessa in fondo che caratterizzava a suo tempo Giuseppe Conte. Entrambi, ieri come oggi, mettono troppo spesso l’accento sul fatto che l‘Italia è un paese fondatore, e che per questo merita un trattamento privilegiato o un rispetto particolare. Curiosamente anche la scelta di non sostenere Ursula von der Leyen viene giustificata con una vena vittimistica.
In buona sostanza, si sostiene che l’Europa istituzionale non rispetta l’esito delle elezioni e che la forza di Fratelli d’Italia in Italia o del Rassemblement National in Francia dovrebbe essere meglio riconosciuta. Peccato che a Strasburgo le cose funzionino come a Roma. Governa la maggioranza, almeno in Parlamento.
Le radici del vittimismo
Il vittimismo diventa così strumento politico. Ma è possibile fondare una propria politica europea sul vittimismo? E poi come mai, così di frequente in Italia, l’auto-commiserazione fa capolino in politica?
Abbozzo una possibile spiegazione.
Per secoli il paese è stato dominato dalle potenze straniere. A seconda del periodo e della regione: dai tedeschi, dagli spagnoli, dai francesi, dagli austriaci. Il dominio straniero ha rafforzato negli italiani una straordinaria vena pragmatica e opportunistica, ma anche, surrettiziamente, un malsano senso di inferiorità.
Un altro motivo forse ha a che vedere con la presenza radicata della Chiesa cattolica. Nello stesso modo in cui il sacramento della confessione consente di ripulirsi la coscienza degli eventuali peccati, il senso di vittimismo è in fondo una sottile strategia personale e politica con la quale improvvisamente chi si atteggia a vittima diventa immune o quasi da qualsiasi critica.
In questo senso, mentre la confessione cancella la colpa, il vittimismo trasferisce la colpa. Nei due casi domina sullo sfondo una qualche forma di deresponsabilizzazione.
(Nella foto tratta da Internet, Ursula von der Leyen, 65 anni, dopo aver ottenuto la fiducia del Parlamento europeo giovedì 18 luglio a Strasburgo. L’ex ministra della Difesa tedesca guiderà la Commissione europea per altri cinque anni)