A differenza di altri paesi europei, in Belgio il 9 giugno non si voterà solo per il rinnovo del Parlamento europeo, ma anche per il nuovo Parlamento nazionale. Anzi, nella migliore delle tradizioni in questo paese federale, trilingue e multi-strati, le elezioni riguarderanno anche i parlamenti regionali della Vallonia, delle Fiandre, di Bruxelles e della comunità germanofona.
Secondo gli ultimi sondaggi l’attuale coalizione al potere a livello nazionale, detta “Vivaldi” e composta da sette partiti, rischia di non ottenere la maggioranza. Il motivo è principalmente legato alla forza crescente dei partiti più estremisti.
Secondo gli ultimi sondaggi, a sinistra il PTB (Parti du Travail de Belgique) ottiene il 15% dei voti in Vallonia; a destra, il Vlaams Belang (letteralmente, interesse fiammingo) raggiunge quasi il 30% dei suffragi nelle Fiandre.
I giornali locali passano il loro tempo a immaginare quali possibili coalizioni possano uscire dalle urne. Si teme l’ombra lunga di un paese ingovernabile (già oggi la coalizione “Vivaldi” è composta dai liberali francofoni e fiamminghi, dai socialisti francofoni e fiamminghi, dagli ecologisti francofoni e fiamminghi e dai democristiani fiamminghi). Il pessimismo, tuttavia, non è una caratteristica dell’animo belga.
Il Belgio riesce a scovare compromessi, a prima vista impossibili. In quali altri paesi, il re ha abdicato per 24 ore pur di permettere la promulgazione di una legge favorevole all’aborto che il sovrano non aveva intenzione di firmare?
Nel 2019 il paese rimase senza governo per quasi due anni (653 giorni, un record), tanto furono difficili le trattative in vista della formazione di un nuovo esecutivo. Dieci anni prima il negoziato era durato poco meno, 589 giorni.
Quando intorno al tavolo ci sono sette partiti, come nell’attuale governo, la suddivisione dei posti di potere può diventare incredibilmente travagliata. Ormai, da tempo, il paese si è dotato di una formula a punti, come raccontano in un articolo scientifico per la rivista Courrier hebdomadaire du Centre de recherche et d’informations socio-politiques i professori Patrick Dumont e Lieven De Winter.
Sulla base del risultato elettorale ad ogni partito al potere viene assegnato un portafoglio di punti, con il quale poi contrattare con gli alleati di coalizione. Secondo gli autori, la carica di primo ministro vale tre punti, quella di ministro due, quella di segretario di stato un punto. Al calcolo si aggiungono le presidenze di Camera e Senato, che contano quanto un ministro (ossia due punti ciascuna).
“In teoria – spiegano i due accademici – tenendo conto delle funzioni di segretario di stato e di presidente di assemblea, è possibile aggirare, nella distribuzione dei portafogli, il principio di parità linguistica sancito dalla Costituzione (che si applica solo ai membri del consiglio dei ministri)”.
Concretamente, la partita si gioca nel modo seguente. Una volta raggiunto l’accordo di coalizione, i presidenti dei partiti negoziano innanzitutto il numero di punti disponibili per ciascuna comunità linguistica, quindi distribuiscono questi punti per partito in proporzione alla loro importanza numerica all’interno della coalizione.
In un primo turno, ogni presidente di partito sceglie il portafoglio o i portafogli che più desidera, iniziando dal partito più grande e terminando con quello più debole. Questo processo viene ripetuto fino alla distribuzione di tutti i portafogli. A volte si raggiunge un nuovo equilibrio solo aumentando il numero delle posizioni o trasferendo alcune competenze da un dipartimento all’altro. Dal 1988 è entrata in gioco anche la carica di commissario europeo.
In fondo, il meccanismo a punti riflette bene la cultura di un paese al confine tra mondo latino e mondo germanico, dove anche il compromesso più astruso deve scaturire in qualche modo da regole precise.
(Nella foto dell’agenzia di stampa Belga, tratta da internet, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, a sinistra, e il premier belga Alexander De Croo, questa settimana a Bruxelles, in occasione della firma di un accordo bilaterale di cooperazione militare)