Le incomprensioni di questi giorni e settimane tra Olaf Scholz e Emmanuel Macron hanno aspetti molto personali, ma anche politici e per certi versi storici. Il confronto è prima di tutto fra due personalità molto diverse l’una dall’altra. Il francese è impulsivo, verboso, forse anche borioso. Il tedesco più riflessivo, più silenzioso, forse anche timido.
D’altro canto, il presidente francese e il cancelliere tedesco riflettono culture nazionali e istituzionali diverse. Il primo ha in mano la politica estera e di difesa, e domina il lavoro del governo. Il secondo deve gestire un paese federale e un governo di coalizione. Il primo tende al dirigismo, il secondo al compromesso.
C’è anche una eredità storica dietro al diverso atteggiamento nei confronti della Russia. Mentre la Francia crede che la guerra in Ucraina sia una prova di forza dalla quale non sia possibile girare le spalle, la Germania rimane cauta ogni qualvolta si tratta di prendere nuove decisioni.
Il presidente Macron non ha escluso invio di truppe in Ucraina. Il cancelliere Scholz, invece, tentenna all’idea di inviare missili Taurus a Kiev, per il timore di oltrepassare nuovi limiti, ed eventualmente scatenare ritorsioni russe sul territorio tedesco. Vale quanto scrive Goethe nel Faust: “Das erste steht uns frei, beim zweiten sind wir Knechte” (solo il primo passo è libero; dal secondo si è schiavi).
C’è di più. I due paesi sono segnati da diverse memorie storiche. Mentre in Francia il dibattito pubblico è segnato dagli accordi di Monaco del 1938 e dalla successiva étrange défaîte contro la Wehrmacht del 1940, in Germania la memoria nazionale non si è rimessa dall’entrata in guerra del 1914.
In Francia l’accusa di “munichois” è una offesa; significa in ultima analisi essere disfattista. I francesi hanno mal digerito la decisione di perseguire nei confronti di Adolf Hitler la politica dell’appeasement voluta dal premier inglese Neville Chamberlain, e fatta proprio dal suo omologo francese Édouard Daladier.
In Germania, invece, la memoria risale al 1914 quando la guerra fu scatenata da una serie di piccoli passi da sonnambuli. Nel 1919 il Trattato di Versailles sancì le colpe tedesche nello scoppio del conflitto. Anche se da allora gli storici sono giunti a conclusioni meno tranchantes, ritenendo numerosi i responsabili della guerra, il marchio è rimasto.
Paesi diversi. Sindromi diverse. In fondo la memoria influisce nelle scelte nazionali. Torniamo un attimo a quanto accadde nel 2008 allo scoppio della crisi finanziaria. Dietro all’attivismo americano per contrastare il crollo dell’economia si nascondeva la paura della depressione degli anni 30. Viceversa, dietro alla cautela tedesca si celava il timore dell’iperinflazione degli anni 20.
Torno alla relazione tra Emmanuel Macron e Olaf Scholz. Non è la prima volta nell’ultimo mezzo secolo che i rapporti personali al vertice tra tedeschi e francesi non sono idilliaci. Neppure Georges Pompidou e Willy Brandt, François Hollande e Angela Merkel si amavano granché.
Certo la guerra in Ucraina sta mettendo a seria prova la relazione franco-tedesca. Addirittura, un ex diplomatico francese, Gérard Araud, suggerisce di abbandonare “la coppia franco-tedesca” e tornare a relazioni classiche di cooperazione e di competizione. D’altro canto, cosa c’è di più profondo e drammatico di un conflitto alla frontiera dell’Europa?
C’è però forse nella vicenda un risvolto potenzialmente positivo. Storicamente, fin dai primi anni dopo la guerra, le relazioni franco-tedesche hanno sempre subito una accelerazione ogni qualvolta gli Stati Uniti hanno dato l’impressione di girare le spalle al continente e all’alleato tedesco.
Così fu negli anni 60 quando il cancelliere Konrad Adenauer firmò con il generale de Gaulle il Trattato dell’Eliseo, preoccupato che gli americani lasciassero una Berlino ormai divisa dal Muro.
Così fu negli anni 70 quando la fine della convertibilità del dollaro in oro annunciata da Richard Nixon indusse Helmut Schmidt ad allearsi con Valéry Giscard d’Estaing per creare il Sistema monetario europeo.
Così fu nel 2003 quando la guerra americana in Iraq spinsse Gerhard Schröder ad allinearsi a Jacques Chirac su posizioni molto critiche di Washington, creando un rinnovato sodalizio segnato da una nuova Westpolitik tedesca nei confronti degli Stati Uniti.
L’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca nel 2016 colse l’establishment tedesco completamente di sorpresa. I metodi dell’uomo d’affari americano erano talmente senza precedenti dal paralizzare Berlino. Eppure, alcune scelte di ritorsione commerciale furono prese.
Forse il ritorno al potere a Washington dell’uomo d’affari rilancerebbe le relazioni franco-tedesche, e riporterebbe l’ottimismo in un rapporto oggi dominato dalla prudenza reciproca.
(Nella foto Reuters, l’incontro a Berlino venerdì 15 marzo tra Emmanuel Macron, 46 anni, e Olaf Scholz, 65 anni)