L’epidemia batteriologica che sta colpendo la Germania e che ha già fatto 30 morti ha scatenato critiche e dileggi contro l’establishment tedesco. C’è chi mette l’accento sulle diverse ipotesi poi rivelatesi sbagliate, a cominciare dalle accuse al cetriolo spagnolo. E chi si interroga su come sia possibile che un grande paese moderno, così orgoglioso dei suoi primati scientifici, ancora non sia riuscito a capire dopo tre settimane le origini esatte dell’infezione. Nella reazione di molti europei c’è una buona dose di Schadenfreude. I tedeschi sono bravi, ligi e amano dare lezioni, soprattutto in tempi di crisi debitoria. Quando è possibile prenderli in castagna, italiani e francesi, greci e spagnoli, ma anche inglesi e olandesi non vedono l’ora di farlo (anche se le circostanze, come questa volta, dimostrano che la sfida è obiettivamente impegnativa). Dietro al caos di questi giorni ci sono molte ragioni. Due saltano agli occhi. La prima è istituzionale. Questo è un paese federale, i centri di poteri sono numerosi e hanno tutti voce in capitolo, una constituency davanti alla quale esprimersi. Nella fattispecie, la questione era sanitaria e quindi di diretta competenza dei Länder. Ecco quindi che sull’epidemia batteriologica si sono espressi il governo federale, i governi regionali, gli ospedali comunali. La cacofonia è stata all’ordine del giorno. A dispetto delle convinzioni di molti, non è una novità o un’eccezione. Anzi è la regola. Lo stesso avviene quotidianamente su tantissime materie diverse: dal salvataggio della Grecia all’abbandono del nucleare. Come mi ha spiegato anni fa un anziano diplomatico italiano, ottimo conoscitore della Germania: “In alcune circostanze capire dove tira il vento a Berlino è forse più difficile che a Roma. Ed è tutto dire”.
Il secondo motivo dietro alla confusione di questi giorni è più culturale e sociale. Il sistema sanitario tedesco è tra i migliori al mondo. I medici sono competenti, preparati, ottimi chirurghi. Ma a differenza dei loro colleghi europei o americani sono test-dipendenti. Difficilmente un dottore si affiderà (solo) alla propria esperienza e al proprio intuito quando visiterà un paziente e preparerà una diagnosi. Certo, si farà da sé un’idea di massima, ma la certezza dell’esame chimico è la via privilegiata. Anche le praxis – gli studi medici – più piccole hanno un mini laboratorio interno con il quale effettuare i tests biochimici più semplici. D’altro canto, non per nulla questo è il paese di 28 Premi Nobel per la chimica. C’è chi sospetta che l’abbondanza degli esami sia solo un modo per far salire la fattura medica. In realtà, credo che sia proprio il modo di procedere. Tutto bene se il test dà un risultato chiaro e incontrovertibile, che corrisponde ai sintomi visibili. E’ un dramma se l’esame invece offre dati più difficili da interpretare, magari che non combaciano con la prima diagnosi del dottore. Per il paziente inizia un tour de force dei più angoscianti, oltre che dei più costosi. L’incertezza provoca un circolo vizioso di esami, dubbi, angosce in un paese che ama le certezze e vive con evidente difficoltà le situazioni impreviste. Così probabilmente è successo in queste ultime tre settimane. L’assenza di risultati chiari e di certezze scientifiche sulle origini dell’epidemia batteriologica ha provocato annunci precipitati e superficiali, anche per via delle pressioni della stampa e della televisione. L’obiettivo era di calmare gli animi e dare sicurezze; la conseguenza invece è stata di aumentare il nervosismo e creare la confusione.
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(Nell'immagine il batterio E. Coli enteroemorragico, oggetto finora di oltre 6.000 test)