Per risolvere la crisi finanziaria di questi mesi molti commentatori sostengono che la via maestra sia la graduale mutualizzazione dei debiti pubblici degli stati membri della zona euro. Da un lato permetterebbe ai partner della Grecia di assumersi gli oneri del paese mediterraneo, lanciando un innegabile segnale politico e istituzionale; dall'altro sarebbe il modo più semplice per evitare il confronto perenne tra i bilanci nazionali sui mercati finanziari. Da mesi ormai gli investitori internazionali mettendo a confronto Spagna e Germania, Italia e Germania, Francia e Germania, sottolineano le debolezze dei paesi più fragili, provocando un dannoso aumento del costo del debito. L'opinione prevalente è che il cancelliere Angela Merkel e la Repubblica Federale siano contrari a priori. Non è vero. I tedeschi sono pronti a una mutualizzazione dei debiti, ma a patto che questa avvenga dopo una cessione di sovranità dagli stati membri a una istituzione sovrannazionale, responsabile in ultima analisi delle politiche economiche. D'altro canto, la Germania è il paese più ricco, più solido. Nell'accettare la nascita di un solo bilancio europeo prende rischi notevoli. Vuole quindi assicurazioni contro l'eventualità che i suoi partner tradiscano la sua fiducia e approfittino della sua solvibilità. Nella storia economica, le unificazioni debitorie sono relativamente rare, ma una ricercatrice dell'Université Libre de Bruxelles, Stéphanie Collet, ha pubblicato di recente un articolo in cui utilizza il processo di unificazione italiana a metà dell'Ottocento per trarre lezioni europee: "La diversità degli stati pre-unitari – scrive infatti la signora Collet – fa dell'unificazione dei debiti sovrani pre-italiani il caso più vicino a una eventuale integrazione dei debiti sovrani europei".
L'Unità d'Italia comportò la nascita di un debito nazionale, attraverso l'unione dei debiti sovrani di sette piccoli stati, repubbliche, regni, ducati e granducati. In alcuni casi però rimasero in vita sui mercati internazionali le vecchie obbligazioni, emesse prima dell'unificazione. La ricercatrice ha voluto verificare il loro andamento prima e dopo l'Unità alle borse di Anversa, Parigi e Londra. Nel suo articolo, pubblicato nel marzo scorso, fa notare prima di tutto che alcuni stati erano più solidi di altri. Il Regno di Sardegna era molto indebitato ed era caratterizzato da tassi d'interesse elevati. Viceversa, il Regno delle Due Sicilie aveva debiti limitati. "In un certo senso, facendo un parallelo forse osé, Napoli e Torino erano la Berlino e la Atene dell'epoca", scrive ancora la signora Collet. Proprio il debito napoletano fu quello che più fu penalizzato dall'unificazione dei debiti: subì un aumento dei rendimenti (in media, dal 4,30% prima del 1861 al 6,90% alla fine del 1862). Per anni successivamente all'Unità, gli investitori continuarono a guardare alle obbligazioni distinguendole sulla base degli emittenti originari. Solo dopo un decennio, ci fu piena convergenza dei rendimenti dei titoli pre-unitari, sulla scia dell'annessione dello Stato Pontificio. Dall'esperienza italiana la ricercatrice belga trae una serie di conclusioni. Prima di tutto, una eventuale integrazione tra i debiti sovrani europei verrà accolta in un primo tempo con scetticismo: all'inizio i mercati si chiederanno inevitabilmente se l'unificazione è duratura. In secondo luogo, il processo penalizzerà in un primo momento i paesi più solvibili (quindi la Germania). In terzo luogo, gli investitori tenteranno per quanto possibile di distinguere le obbligazioni pre-unitarie, pur di proteggersi dai rischi di un eventuale smembramento, sempre possibile. In fondo, chi crede che un federalismo di bilancio possa essere la panacea di tutti i mali deve rimanere cauto. La mutualizzazione dei debiti sarebbe solo un nuovo passo di un lungo cammino verso la nascita di uno stato europeo.
(Nella foto, la Borsa di Anversa in una stampa ottocentesca – L'articolo di Stéphanie Collet, intitolato A Unified Italy ? Sovereign Debt and Investor Scepticism, è recuperabile a questo indirizzo)
NB: Dal fronte di Bruxelles (ex GermaniE) è anche su Facebook