A pochi giorni da una serie di cruciali vertici europei, il presidente della Commissione José Manuel Barroso, 56 anni, coglie l'occasione di questa intervista al Sole 24 Ore per tratteggiare le prossime sfide dell'Unione, e annunciare nuova flessibilità nel calcolare gli investimenti pubblici nei bilanci nazionali. Per l'Italia, che su questo aspetto aveva dato battaglia, è un successo.
Presidente, lei sta per recarsi a Oslo per ricevere il Premio Nobel per la Pace attribuito all'Unione Europea. Sarà accompagnato dal presidente del Consiglio Herman Van Rompuy e dal presidente del Parlamento Martin Schulz. Per l'Europa, è più un riconoscimento per il passato o un incoraggiamento per il futuro?
È certamente un riconoscimento per il più importante traguardo nella storia della cooperazione transnazionale. L'esperimento europeo è unico per il modo in cui ha creato istituzioni sovranazionali che vanno oltre lo stato-nazione. Ha consentito la pace e la riconciliazione dopo la guerra, unendo sei Paesi, poi saliti a 27 (a breve 28 con l'arrivo della Croazia), intorno a valori forti quali la pace, la libertà, la democrazia. In altre regioni del mondo, anche in quelle segnate da forme estreme di nazionalismo, l'Unione Europea è un modello. Il premio è anche un incoraggiamento per il futuro, in un momento in cui la crisi economica provoca dubbi sul futuro dell'integrazione europea.
Alla cerimonia ci saranno i presidenti di tre istituzioni europee ma solo 18 capi di stato e di governo su 27. L'effetto ottico non è quello della disunione?
No. Commissione, Consiglio e Parlamento sono le tre istituzioni sovranazionali che rappresentano le nostre democrazie nazionali e la stessa Unione. Alcuni leader nazionali vogliono partecipare alla cerimonia di premiazione. Altri non lo possono fare. Rispetto pienamente ambedue le scelte.
A proposito di scelte: la settimana prossima i governi cercheranno di trovare un accordo sul trasferimento della vigilanza bancaria dagli Stati membri alla Banca centrale europea, un tassello indispensabile per rafforzare l'integrazione della zona euro. È ottimista?
Un accordo è cruciale per la credibilità dell'Unione. Mi auguro che ci sia un'intesa politica all'Ecofin del 12 dicembre o altrimenti al Consiglio europeo del 13-14. Esorto tutti i governi a cercare un accordo. Purtroppo non tutti i Paesi avvertono lo stesso senso di urgenza. I mercati sono più calmi che nel recente passato, ma sarebbe un errore pensare che non abbiamo più bisogno di una unione bancaria. Dobbiamo mostrare che siamo seri e che rispettiamo gli impegni presi. Stiamo lavorando perché un compromesso sia possibile.
Nota un minor impegno dei governi su questo fronte?
I mercati sono più calmi perché alcune decisioni importanti sono state prese o annunciate. Il risanamento dei bilanci prosegue. La Grecia non è fallita ed è sempre nella zona euro. La Bce ha dato la sua disponibilità ad acquistare titoli sul mercato per ridurre le tensioni. Tutto ciò ha convinto gli investitori che la moneta unica è irreversibile e che tutto verrà fatto per salvaguardarne la stabilità. Ciò detto, non bisogna farsi illusioni. Dobbiamo proseguire sulla strada di una vera e propria unione economica che diventi unione di bilancio e unione politica. Esorto i governi a non perdere di vista l'obiettivo ultimo e a mantenere lo slancio. La vigilanza bancaria unica è oggi la priorità più concreta.
Quanto l'ulteriore integrazione dei 17 Paesi della zona euro è compatibile con l'Unione a 27 e con istituzioni a 27? Cosa ne pensa?
Credo che si possa perseguire l'integrazione a 17 assicurando il futuro del mercato unico a 27. Qualsiasi altra alternativa si tradurrebbe in uno smembramento dell'Unione. Ammetto che è una sfida, ma esiste la possibilità della cooperazione rafforzata, che va utilizzata se necessario. Il trattato specifica che l'euro è la moneta dell'Unione, anche se due Paesi hanno una opzione per non adottarla. La stessa vigilanza unica che dovrebbe riguardare tutti i Paesi euro e solo alcuni Paesi non-euro potrebbe rivelarsi un modello per future cooperazioni. Sono certo che la volontà politica e la creatività legale ci permetteranno di trovare soluzioni.
Herman Van Rompuy ha presentato nei giorni scorsi un piano di riforma dell'Unione monetaria, che verrà discusso nel prossimo Consiglio europeo. A differenza del rapporto illustrato a fine novembre dalla Commissione, non contiene l'idea di una mutualizzazione dei debiti sovrani. È deluso?
Non c'è contraddizione tra i due rapporti. Quello della Commissione riflette il potere d'iniziativa dell'esecutivo comunitario. Dietro alla scelta del presidente Van Rompuy c'è il desiderio di giungere a un accordo, di evitare divisioni troppo profonde tra gli Stati membri su una questione controversa. È una scelta che rispetto pienamente. So che il presidente Van Rompuy guarda con favore alla mutualizzazione dei debiti, ma vuole giungere a un accordo nel breve termine. Detto ciò, vogliamo mantenere la questione sul tavolo. Sono convinto che la mutualizzazione dei debiti possa accompagnarsi a una maggiore integrazione e una maggiore disciplina.
In giugno, il Consiglio europeo aveva approvato un pacchetto di misure per rilanciare l'economia, il growth compact. Non trova che l'adozione delle misure sia in ritardo?
L'adozione delle misure è stata lenta, è vero. Siamo stati molto generosi nel migliorare la disciplina, meno generosi in termini di solidarietà. Detto ciò, siamo pienamente consapevoli della necessità di dare ai cittadini europei un'immagine dell'Europa che sia fedele all'economia sociale di mercato. L'Europa deve difendere il proprio modello sociale.
A proposito di crescita, sia il rapporto Van Rompuy che la relazione della Commissione mettono l'accento sulla necessità di calcolare con flessibilità gli investimenti pubblici nei bilanci nazionali. È una novità. Ce la può spiegare?
Noi pensiamo che nel rispetto del Patto di stabilità ci sia margine per favorire gli investimenti pubblici purché il deficit sia sotto al 3% del Pil e purché il percorso di risanamento delle finanze pubbliche del Paese sia in linea con gli obiettivi prestabiliti. Vogliamo dimostrare che il Patto non è stupido e che non siamo dogmatici. A breve presenteremo una comunicazione nella quale spiegheremo precisamente come avverrà il calcolo quando valuteremo l'andamento dei bilanci nazionali.
In passato, questa ipotesi era stata bocciata perché troppo difficile da calcolare. Alcuni Paesi la considerano fonte di errori e magagne.
No. Credo che si possa fare. Voglio però essere chiarissimo: non vogliamo assolutamente compromettere o annacquare le regole di bilancio. Stiamo solo esplorando le possibilità che ci sono offerte dal Patto, tanto che già oggi guardiamo soprattutto ai deficit strutturali, al netto del ciclo economico.
L'idea della regola d'oro era stata promossa a suo tempo dal presidente del consiglio italiano Mario Monti.
Si, in effetti il presidente Monti è stato molto attivo su questo fronte. Il suo contributo è stato utilissimo. Mi permetta a questo riguardo di elogiare il governo Monti non solo per le importanti misure che ha adottato in patria per rimettere ordine nelle finanze pubbliche e per riformare l'economia nazionale, ma anche per il suo ruolo nel dibattito europeo.
A proposito: la situazione politica italiana è bruscamente precipitata. Il governo ha perso la propria maggioranza. Negli ambienti europei ci si interroga se sia meglio votare il più velocemente possibile, o meno. I mercati si stanno già innervosendo. Anche Lei?
Non voglio immischiarmi nella politica interna italiana. Al di là degli sviluppi italiani, voglio solo dire che non vi è alternativa alla correzione della finanza pubblica e all'adozione di riforme che migliorino la competitività del paese. Gli italiani non devono cadere nell'illusione che vi siano soluzioni rapide o magiche. Le prospettive dell'Italia restano negative, anche se recentemente ci sono state alcune buone notizie.
Vi sono aspetti in particolare che l'hanno colpita di recente?
In novembre l'ultima asta di Buoni del Tesoro a 12 mesi ha mostrato un rendimento dell'1,76%, rispetto al 6,09% di un anno fa. Sono sviluppi impressionanti. Riflettono un'accresciuta fiducia degli investitori internazionali, grazie alle scelte del governo e ai sacrifici dei cittadini. Le prossime elezioni non devono diventare un pretesto per mettere in dubbio l'indispensabilità di queste misure. La calma relativa dei mercati non significa che siamo fuori dalla crisi. Dobbiamo assolutamente evitare di cadere nell'errore dell'auto-compiacimento, ed esorto quindi ancora una volta i governi a non abbandonare il loro impegno alle riforme economiche e al risanamento di bilancio. B.R.