BRUXELLES – Indebolita da elevati debiti pubblici e da consumi stagnanti, l'Unione europea è alla disperata ricerca di nuovi mercati su cui esportare beni e servizi. In questo contesto, il continente africano, tradizionalmente povero e instabile, sta avendo un ruolo sempre più evidente. Si è aperto oggi a Bruxelles un vertice di due giorni dei capi di stato di Europa e Africa con l'obiettivo, tra le altre cose, di promuovere il commercio intrafricano, rafforzare l'economia locale, rilanciare l'export europeo.
L'incontro deve servire a «creare nuove opportunità di cooperazione, migliorando i legami politici, economici e personali – ha spiegato il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso – Bisogna puntare su una crescita economica durevole e sostenibile, tale da offrire opportunità e benessere a tutti i nostri concittadini». L'Africa non è solo fallimenti statali, conflitti tribali o migranti clandestini. Ormai il continente africano pesa per il 9% dell'interscambio che l'Unione ha con il resto del mondo. Il confronto è con la Cina, che in Africa ha messo radici, in alcuni casi senza scrupoli, pur di accappararsi riserve petrolifere o miniere auree. Notava però nei giorni scorsi un esponente comunitario: «Attenzione: lo scambio Cina-Africa è semplice: materie prime in cambio di prodotti industriali. Fosse solo per la vicinanza geografica l'Europa acquista dall'Africa anche beni semilavorati e a valore aggiunto».
I principali esportatori europei verso l'Africa sono la Francia (28 miliardi di euro nel 2013), la Germania (22 miliardi) e l'Italia (20 miliardi). I prodotti manifatturieri rappresentano il 70% delle esportazioni europee, mentre l'energia pesa per il 64% delle importazioni europee. Tra il 2003 e il 2011, il prodotto interno lordo africano è cresciuto in media del 5,2% all'anno. Nel 2012, otto dei dieci paesi al mondo economicamente più dinamici erano africani. Al di là della crisi egiziana, del fallimento libico o del disastro somalo, Bruxelles è convinta che il continente si stia modernizzando. Secondo Moody's, dieci anni fa i paesi africani erano riusciti a vendere obbligazioni internazionali per 1,2 miliardi di dollari; nel 2013 hanno raccolto 8,1 miliardi di dollari. Le grandi multinazionali se ne sono accorte. L'Oréal, per esempio, intende diventare in Africa «il primo gruppo di cosmetici» su «un mercato che cresce due volte più rapidamente» del resto del mondo. La crescita dell'economia africana è legata a quella dei Paesi emergenti. La Cina, la Russia, l'India e il Brasile vedono nel continente una fonte di materie prime e un mercato di potenziali consumatori. La sfida è di far sì che le figure del senegalese Youssou N'Dour (cantante e proprietario del gruppo editoriale Futurs Médias), della nigeriana Ngozi Okonjo-Iweala (ministro delle Finanze e diplomata di Harvard) o del sudanese Mo Ibrahim (miliardario delle telecomunicazioni) non siano semplici eccezioni.
A Le Point, l'ex segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan ha spiegato di recente: «Gli studi mostrano che sviluppando il commercio intrafricano è possibile aumentare il Pil del continente di 250 miliardi di dollari in 10 anni». Alcuni progetti sono già stati individuati: il gasdotto tra l'Algeria e la Nigeria, la tratta ferroviaria Dakar-Djibouti, il ponte sul Congo tra Brazzaville e Kinshasa, la navigazione fluviale tra il Burundi e l'Egitto, le reti a fibre ottiche tra l'Algeria e il Niger o nella regione dei grandi laghi.
Le opportunità per le grandi imprese europee sono chiare. Tra il 2002 e il 2013, l'export europeo verso l'Africa è salito da 69,7 a 152,9 miliardi di euro. «Stabilità e prevedibilità sono cruciali per riuscire ad attirare investimenti privati durevoli e di lungo periodo», ha sottolineato Markus J. Beyrer, direttore generale di Business Europe, l'associazione imprenditoriale europea. Ogni anno l'Europa sostiene l'Africa con aiuti pari a 20 miliardi di euro.
«I rapporti dell'imprenditoria italiana con l'Africa si stanno rafforzando – spiega Maria Rosaria Marchese, responsabile della sezione napoletana della Camera di commercio italo-centrofricana –, soprattutto nella Repubblica democratica del Congo, Gabon, Tanzania e Angola. Indiani e cinesi sono stati in passato molto irruenti nei loro rapporti con i governi locali con conseguenze negative, per esempio in campo ambientale. I nostri metodi meno invasivi sono apprezzati». B.R.