Rapporti UE-USA – Processo a Ursula von der Leyen (e alla Germania)

È stata una settimana davvero straordinaria nei rapporti tra gli Stati Uniti e l’Unione europea. Non è passato giorno o quasi senza che da Washington giungessero parole o scelte profondamente in contrasto con le posizioni assunte finora dall’Unione europea o in aperto contrasto con gli interessi comunitari.

L’amministrazione Trump ha annunciato dazi contro l’acciaio e l’alluminio, anche di origine europea; ha presentato un piano di pace a Kiev che rinnega le posizioni europee sull’integrità territoriale dell’Ucraina; ha criticato come non mai gli alleati europei, accusandoli nei fatti di avere tradito i loro principi democratici nella loro lotta alla disinformazione.

Possiamo dirci sorpresi? Non proprio. Sapevamo che il presidente Donald Trump avrebbe messo in difficoltà l’Unione europea, e sappiamo da anni ormai che gli Stati Uniti sono entrati in una fase storica segnata da un profondo unilateralismo.

Eppure, da Bruxelles la sensazione è che l’Unione europea sia stata colta impreparata. C’è da chiedersi quante responsabilità abbia la presidente della Commissione europea in questo frangente. Il quesito, mi rendo conto, è in parte pretestuoso. Difficile francamente puntare il dito contro una sola persona.

Al tempo stesso Ursula von der Leyen ha deciso in questi anni di essere l’immagine della Commissione europea. Ha voluto gestirne in prima persona la comunicazione istituzionale e le decisioni politiche. Ha scelto gli onori. Deve affrontare anche gli oneri.

Ursula von der Leyen si è dimostrata in questi anni molto, troppo vicina agli Stati Uniti. Troppo nella misura in cui il livello di integrazione europea è ormai incompatibile con un atteggiamento subordinato a una America che da tempo ormai ha cambiato pelle. Più aggressiva, meno conciliante.

Ursula von der Leyen, 66 anni, il 14 febbraio scorso durante l’annuale Conferenza sulla Sicurezza a Monaco – Credit: MSC/Thomas Niedermueller

Non sono mancate in questi anni prese di posizione accomodanti nei confronti di Washington (quasi una forma di appeasement). Anziché cercare un accordo complessivo con l’amministrazione Biden sul fronte commerciale, la presidente è sembrata fare propria la mera sospensione dei dazi decisi nel 2018.

In un tweet del 7 ottobre 2023, sulla scia dell’attacco di Hamas contro Israele, ha preso chiaramente posizione a fianco dello Stato Ebraico e incidentalmente degli Stati Uniti, in barba alle posizioni più sfumate di molti paesi membri.

Al momento dell’elezione di Donald Trump, in un tweet del 6 novembre 2024 la presidente si è “calorosamente congratulata” con il nuovo presidente. Successivamente, in occasione dell’insediamento gli ha inviato “i migliori auguri” di buon lavoro. Forse l’avverbio calorosamente poteva essere evitato.

Peraltro, sapevamo già di quale pasta è fatto Donald Trump. Durante la pandemia, il 23 aprile 2020, aveva suggerito la possibilità di iniettare candeggina nei pazienti per combattere il virus; il 6 gennaio 2021 aveva chiamato la folla ad occupare il Campidoglio, rifiutando il risultato delle presidenziali del novembre precedente; più recentemente – il 12 febbraio 2024 – aveva esortato la Russia a invadere i paesi membri della Nato, definendoli delinquent perché non spendono abbastanza in difesa.

Da più di un anno la Commissione europea sta indagando su X e sulla possibilità concreta che la piattaforma di Elon Musk abbia veicolato contenuti illeciti. Il tema è complesso e la tecnologia nuova, ma sbagliano coloro i quali temono che dietro ai tempi lunghi si nasconda un atteggiamento conciliante nei confronti della nuova amministrazione?

Lo stesso sospetto potremmo avere riguardo alla decisione dell’ultimo momento questa settimana di ritirare dal programma di lavoro della Commissione europea un progetto legislativo relativo alla responsabilità civile nel campo dell’intelligenza artificiale, in netto contrasto con la tendenza americana a deregolamentare.

Ursula von der Leyen è tedesca, e il suo atteggiamento nei confronti degli Stati Uniti è lo specchio dei sentimenti prevalenti nel suo paese. Oltre a un comprensibile debito di riconoscenza per averla liberata del Nazismo, la Germania coltiva con l’America legami personali, culturali, storici tra paesi anglo-sassoni. Diceva Goethe: Amerika, du hast es besser, America sei la migliore.

Peraltro, la presidente della Commissione è originaria di Hannover, una città che guarda storicamente verso la Gran Bretagna e il grande largo. Il suo capo di gabinetto, Bjoern Seibert, è stato affiliato negli anni all’Università di Harvard, al Massachusetts Institute of Technology, allo U.S. Army War College di Carlisle (Pennsylvania), e all’American Enterprise Institute di Washington.

Insomma, c’è da chiedersi se l’atteggiamento conciliante di Ursula von der Leyen non abbia in fondo contribuito alla durezza con la quale il presidente Trump sta affrontando l’Europa. Forse ha ragione il leader democristiano tedesco Friedrich Merz quando dice: “Gli americani non hanno alcun rispetto per coloro che si fanno più piccoli di quanto lo siano. Se vi mostrate deboli, vi tratteranno come tali”.

Devo immaginare, o sperare, che l’ultima settimana possa indurre la presidente della Commissione europea a urgenti ripensamenti. Più in generale dobbiamo anche sperare che, per il futuro dell’Europa, anche la Germania, chiamata alle urne tra una settimana, riveda seriamente le sue antiche priorità.

Per decenni la Repubblica Federale è stata un fedele alleato degli Stati Uniti (ancora oggi ospita 13 basi e quasi 35mila soldati americani). Durante la Guerra Fredda il legame era comprensibile. Ha perso ragion d’essere negli ultimi anni, tanto più in un contesto di crescente integrazione europea.

Superato il voto del 23 febbraio, la Germania dovrà valutare in coscienza se vorrà finalmente abbracciare pienamente il progetto comunitario, abbandonando un alleato americano che nei fatti le ha girato le spalle. Anche per questo motivo le elezioni tedesche di fine mese sono probabilmente le più importanti dal 1949.

  • habsb |

    egr. dr. Romano
    credo che la signora von der Leyen, più che di Trump, debba preoccuparsi delle numerose azioni di giustizia di cui fa l’oggetto. Anche se i media italiani ne parlano assai poco.

  Post Precedente