Immigrazione, Patto Verde, Mercosur – C’è un legame nascosto?

C’è un legame tra Patto Verde, immigrazione e Mercosur? Forse sì. Nei tre casi ho la sensazione che i partiti più radicali prendano in ostaggio il tema, cavalcando le paure dell’opinione pubblica e utilizzandole come arma politica (in inglese la tendenza si chiama weaponization).

Il caso del Mercosur è il più recente. Si tratta di un accordo di libero scambio con quattro paesi dell’America Latina: il Brasile, il Paraguay, l’Argentina e l’Uruguay. Parlare di libero scambio è una forzatura. Da tempo le intese firmate dalla Commissione europea contengono limiti, in particolare sul fronte agricolo.

Critiche sono giunte dalla Francia e dall’Italia, che temono concorrenza sleale sul fronte agricolo. Altri paesi rumoreggiano: l’Austria, l’Olanda, in parte anche il Belgio. Una premessa: l’intesa è ancora oggetto di negoziato e non è nota nei dettagli.

Dobbiamo quindi affidarci alle parole pronunciate da Jean-Luc Demarty, ex direttore generale della Commissione europea, durante un recente convegno in Francia (Les Assises nationales de l’agriculture et de l’alimentation). Nel suo discorso, l’ex funzionario comunitario ha spiegato che l’intesa proteggerà i prodotti lattiero-caseari, i vini, le bevande alcoliche e la tutela delle nostre denominazioni di origine.

“L’unico problema – ha detto Jean-Luc Demarty – è la protezione dei nostri prodotti agricoli più sensibili – la carne bovina, il pollame e lo zucchero”. Ebbene, sempre secondo l’ex alto funzionario, “questi sono molto ben protetti da quote di importazione pari a circa l’1% del consumo totale dell’Unione europea, tali da non avere praticamente alcun effetto sulla nostra agricoltura”.

Sempre l’ex funzionario comunitario fa notare che, anziché preoccuparsi del Mercosur, bisognerebbe interrogarsi sull’accordo di associazione firmato nel 2014 con l’Ucraina, il granaio del continente europeo. L’intesa comportò una moltiplicazione per cinque delle importazioni di zucchero e per due delle importazioni di pollame (una situazione corretta solo negli scorsi mesi).

L’agricoltura è un settore delicatissimo. Ha a che vedere con la storia dei singoli paesi europei, le radici locali, le tradizioni culinarie, il passato rurale.

In Francia le critiche suscitano per certi versi sorpresa. Sappiamo che gli agricoltori hanno una notevole influenza politica, a cui tutti i governi sono sensibili. La sorpresa sorge alla luce dell’impatto benefico che finora gli accordi commerciali hanno avuto per il settore agricolo.

Guardiamo a quello con il Canada, adottato nel 2017 (noto con l’acronimo CETA). Le esportazioni francesi verso il paese nordamericano sono salite del 33% tra il 2017 e il 2023, tra cui il vino (+24%) e il formaggio (+60%), secondo i dati del ministero degli Esteri francese.

In Italia, la SACE, la società pubblica di assicurazione dell’export, faceva notare due anni fa: “Nel 2021, le esportazioni italiane verso il Canada hanno raggiunto i 4,8 miliardi di euro, segnando un ritmo di crescita medio annuo, tra il 2017 e il 2021, del 5,5%, superiore di oltre un punto percentuale rispetto alla performance del Made in Italy verso il mondo».

Più in generale Jean-Luc Demarty osserva: «Nessuno sottolinea che gli accordi di libero scambio sono stati redditizi, con il surplus agroalimentare europeo che è aumentato di sette volte in 15 anni, raggiungendo i 70 miliardi di euro».

Secondo la più recente relazione annuale che la Commissione europea pubblica ogni anno, il valore degli scambi commerciali dell’Unione europea attribuibili alla vasta rete di 42 accordi con 74 partner ha superato nel 2023 i 2.300 miliardi di euro, con un aumento di oltre il 30% negli ultimi cinque anni.

Aggiungo che se Donald Trump dovesse mettere in pratica le sue minacce protezionistiche e dovesse adottare dazi, gli sbocchi alternativi farebbero comodo all’Europa. Insomma, possiamo immaginare che non tutto è roseo, ma nell’insieme la situazione sul fronte commerciale è forse meno drammatica di quanto non sembri o di quanto non si voglia far credere. Al netto di evidenti differenze, lo stesso forse vale per altri due temi: l’immigrazione e il Patto Verde.

Anche in questi casi i partiti radicali cavalcano le preoccupazioni della pubblica opinione, spesso senza ricordare che l’immigrazione è indispensabile per sostenere le nostre fabbriche, accudire i nostri famigliari, aiutare la nostra demografia, sostenere i nostri bilanci e che una politica ambientale è necessaria per contrastare i disastri naturali che stanno mietendo vittime, distruggendo città, devastando la natura anche quella coltivata.

Possiamo discutere sui dettagli, valutare alcuni aspetti, negoziare alcuni punti, ma difficilmente possiamo ragionevolmente mettere in dubbio l’opportunità di accogliere stranieri, di difendere la natura, e di commerciare con il resto del mondo.

(Nella foto tratta dal sito del settimanale Paris Match, il presidente francese Emmanuel Macron insieme al suo omologo argentino, Javier Milei a Rio de Janeiro, durante una riunione del G20 il 18-19 novembre)

  • habsb |

    egr dr. Romano
    1° per quanto riguarda il Mercosur, Lei ha perfettamente ragione. L’Europa resterebbe una fortezza anche dopo gli eventuali accordi del Mercosur, che concernono percentuali infime del mercato agricolo europeo. Se questo non viene aperto almeno in minima parte, l’Europa rischia di mantenere i suoi produttori in condizioni di scarsa competitività. Quando penso a regimi ultraprotezionisti come quello che vige sul mercato agricolo europeo, mi viene in mente la qualità discutibile di certi prodotti sovietici. Certo, se prendiamo ad esempio la carne bovina europea, non c’è ancora da piangere. Ma aldilà delle Chianine, Gallega o Mezenc maturate che non tutti possono permettersi, certe volte i prodotti disponibili in supermercato fanno desiderare l’arrivo in forza di carni argentine o brasiliane a prezzi competitivi. Favorire l’accesso ai mercati sudamericani permetterebbe inoltre di premiare i produttori nostrani di qualità. Per questi ultimi, il protezionismo non aiuta, perchè mantiene in vita la concorrenza di produttori nazionali di bassa qualità.

    2° Il problema principale del Patto Verde, certamente motivato da buoni propositi, è che mischia buone iniziative ad altre più discutibili, nel gran calderone della difesa dell’Ambiente. Qui la minaccia principale è l’uso della chimica in agricoltura, con gravi rischi sanitari e impoverimento dei suoli e della microfauna produttiva. Non è qui che il Patto verde pone l’accento, ma sulla lotta al riscaldamento da effetto serra, su cui non vi è un vero consenso scientifico, e su cui in ogni caso l’Europa resta un contributore minore. Inoltre la transizione all’auto elettrica è criticata da varie parti e non sembra assolutamente convincere i principali interessati, gli automobilisti. Il rischio è grosso di annullare il vantaggio competitivo europeo sulle autovetture termiche, per subire invece quello cinese sulle autovetture a batteria.

    3° Sull’immigrazione invece, non sono assolutamente d’accordo. Se prendiamo l’Italia, (ma altri paesi come la Francia non sono molto diversi), il tasso di occupazione fra i 15 e 64 anni è solamente del 62%. (dati del 2023).
    Come si fa allora a argomentare, come Lei fa, che l’immigrazione è indispensabile per sostenere le nostre fabbriche e accudire i nostri familiari? Diciamo invece che l’immigrazione è indispensabile per mantenere larghe fasce della popolazione (immigrata o nostrana) nella povertà da disoccupazione o da basso salario, in modo che votino i partiti di sinistra. Ma un’altra conseguenza è il dilagare della delinquenza, non perché gli immigrati siano tutti dei mascalzoni, ma perché quando il mercato del lavoro lascia fuori 38% degli attivi, se aggiungete ancora centinaia di migliaia di immigrati, allora molte persone immigrate o italianissime non hanno altra scelta di vita che quella proposta dai padrini della ndrangheta. Questo sfacelo dell’ordine pubblico, che forse i politici dei Parioli non percepiscono, ha l’effetto di favorire i partiti di destra, attualmente con il vento in poppa in tutto l’Occidente, da Orban a Trump.

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