C’è una espressione nel giornalismo anglosassone: For the record. Significa che in alcuni casi gli articoli sono scritti a futura memoria. Il seguente è uno di questi.
Il vertice di questa settimana ha permesso ai Ventisette di darsi una nuova leadership, sulla base degli equilibri politici emersi dal voto di inizio giugno.
Popolari, socialisti e liberali hanno ottenuto oltre il 50% dei seggi nel Parlamento europeo e sono rappresentati nel Consiglio europeo da 22 capi di Stato e di governo su 27, pari all’80% della popolazione.
Designata presidente della Commissione europea è stata la popolare tedesca Ursula von der Leyen. Alla presidenza del Consiglio europeo è stato nominato l’ex premier socialista portoghese António Costa, mentre la carica di Alto Rappresentante è andata alla premier liberale estone Kaja Kallas.
La premier italiana Giorgia Meloni si è astenuta sul primo nome, ha votato contro la nomina delle due altre personalità europee. In un tweet giovedì notte dopo il vertice ha commentato:
“La proposta formulata da popolari, socialisti e liberali per i nuovi vertici europei è sbagliata nel metodo e nel merito. Ho deciso di non sostenerla per rispetto dei cittadini e delle indicazioni che da quei cittadini sono arrivate con le elezioni. Continuiamo a lavorare per dare finalmente all’Italia il peso che le compete in Europa”.
Il voto europeo di giugno ha messo in luce in Italia la vittoria di Fratelli d’Italia, ma a livello europeo il gruppo parlamentare conservatore ai cui appartiene il partito della premier (noto con l’acronimo ECR) ha ottenuto poco più dell’11% dei seggi nel Parlamento europeo (83 su 720).
Sia giovedì qui a Bruxelles che nei giorni precedenti il voto, la presidente del Consiglio ha sostenuto che le proposte di popolari, socialisti e liberali erano giunte senza una previa riflessione a 27, e non tenevano conto del peso dei paesi e della vittoria relativa dei conservatori nel voto del 6-9 giugno, diventato ormai il terzo gruppo nel Parlamento europeo.
È interessante notare che in precedenza la premier Meloni aveva nei fatti preso atto della procedura europea e ammesso la sua vittoria solo relativa a livello continentale. Ecco quanto disse a Milano il 19 giugno scorso in occasione delle celebrazioni per il 50mo compleanno del quotidiano Il Giornale:
“Bisogna ragionare su due diverse fasi. C’è una prima fase (…) che riguarda l’individuazione degli incarichi apicali, che sono presidente del Consiglio, presidente della Commissione, presidente del Parlamento e Alto Rappresentante, di solito avviene tenendo conto di quelli che sono i pesi dei gruppi politici. Attualmente c’è un tentativo di accordo tra socialisti, popolari e liberali per cercare di sistemare quelle caselle. E quindi non si profila il cambio di passo che era stato immaginato, anche se, per onestà intellettuale, bisogna dire che è anche frutto del risultato delle elezioni. Perché le elezioni in Europa hanno dato un segnale di diversificazione non sufficiente a modificare completamente il quadro”.
Il contrasto fra le parole pronunciate giovedì notte qui a Bruxelles e il ragionamento effettuato a Milano salta agli occhi, e fa riflettere. Una forma di vittimismo? Se così fosse, è tutto da capire quanto possa essere efficace a lungo andare, a casa e all’estero.
(Nella foto di Palazzo Chigi, la premier Giorgia Meloni, 47 anni, durante il summit europeo del 27 giugno)