I giovani e la fuga dall’Italia – Molti diventano belgi (+70% in quattro anni)

Ci sono dati che più di altri svelano lo stato di salute di una economia e soprattutto lo stato d’animo di un paese. Nella sua annuale allocuzione a Roma venerdì scorso, il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta ha spiegato che dal 2008 al 2022 circa 525 mila giovani italiani hanno lasciato il loro paese.

“Solo un terzo di essi – ha spiegato il banchiere centrale – è tornato in Italia”.

Le parole di Fabio Panetta mi hanno indotto a cercare statistiche sul numero di italiani emigrati in Belgio, e in particolare a Bruxelles. Sapevo empiricamente che erano in aumento. Lo si capisce dall’italiano che sempre più spesso si sente parlare per strada e dal numero di nuovi ristoranti e locali italiani nati negli ultimi tempi.

In effetti il numero degli italiani registrati presso l’anagrafe consolare di Bruxelles è salito da 105 mila nel 2018 a 118 mila all’inizio del 2024 (*). C’è di più. Ho voluto verificare con l’aiuto dell’Ufficio belga di statistica (StatBel) se per caso fosse in aumento anche il numero di italiani che hanno deciso di chiedere la nazionalità belga.

Ebbene, negli ultimi quattro anni il totale è salito di oltre il 70%. Nel 2020 i cittadini italiani che avevano ottenuto la nazionalità belga erano 1.217, saliti a 1.229 nel 2021, a 1.536 nel 2022 e a 2.070 nel 2023.

Tra questi italiani c’è Lucia, 43 anni, nata ad Alessandria – come le altre persone citate in questo articolo ha preferito che il suo cognome venisse omesso: “Mi sono trasferita a Bruxelles 17 anni fa, dopo la laurea a Torino. Ho preso la nazionalità belga nel 2018. Il motivo scatenante è stato l’arrivo al potere in Italia di una maggioranza Lega-Cinque Stelle. Ho capito che probabilmente non sarei mai più tornata indietro”.

Oggi Lucia è capo-ufficio in una delle tante associazioni imprenditoriali presenti a Bruxelles. In precedenza, lavorava presso la sede bruxellese di una società italiana: “In 10 anni non ho ottenuto un solo aumento di stipendio. Mi dicevano che ero ancora giovane… Ho quindi deciso di guardarmi intorno. Sono stata assunta da una associazione di categoria che mi ha offerto il doppio dello stipendio. Ogni anno fa una valutazione del mio lavoro e decide di conseguenza se merito un aumento”.

Sapevamo che molti giovani italiani, se possono, tendono a lasciare il loro paese. A parità di formazione non capiscono perché dovrebbero essere pagati meno dei loro coetanei non solo in Germania, in Francia o in Belgio, ma addirittura in Spagna, come ha lasciato intendere lo stesso governatore della Banca d’Italia.

Secondo un rapporto di Eurostat basato sui dati raccolti tra il 2017 e il 2022, oltre quattro italiani su dieci svolgono un lavoro per cui sono sovra-qualificati (EU Labour Force Survey). La percentuale è la più elevata d’Europa.

I giovani italiani non vogliono subire le vessazioni arbitrarie di un ambiente di lavoro, pubblico e privato, che in questi ultimi due decenni si è estremamente degradato, in molti settori della società. Da inizio secolo, la perdurante debolezza economica ha rafforzato la naturale inclinazione del paese a premiare la lealtà di clan e a ricompensare i legami clientelari.

In un libro di qualche anno fa, La società signorile di massa (La Nave di Teseo, 2019), il sociologo Luca Ricolfi notava la presenza nell’economia italiana di “una infrastruttura paraschiavistica”, composta principalmente da immigrati, chiamati a “posizioni sociali infime”. Potremmo anche aggiungervi i tirocinanti italiani, spesso non retribuiti.

Probabilmente molti giovani e meno giovani non vogliono neppure avere a che fare con i soprusi e le angherie delle amministrazioni pubbliche e para-pubbliche (penso agli ordini professionali e alle tante corporazioni).

Emanuele ha 35 anni, è nato a Roma ed è arrivato a Bruxelles 10 anni fa per completare gli studi universitari. Ora è direttore di una società finanziaria qui in Belgio e dice di non avere, per ora, l’intenzione di tornare nel suo paese: “C’è in Italia un rapporto molto particolare con il potere, che si traduce in nonnismo, attaccamento alla poltrona, e anche gerarchia in famiglia”.

Il mio interlocutore è diventato belga da qualche giorno. Racconta: “Mia moglie fu la prima di noi due a ottenere la nazionalità belga: voleva poterla trasmettere a nostro figlio nato qui a Bruxelles, poiché in Belgio non c’è lo ius soli (…) Poi ho fatto la stessa scelta pur di avere la stessa cittadinanza di nostro figlio. Da sette mesi abbiamo fatto domanda perché egli ottenga la nazionalità italiana. Senza ancora avere ricevuto risposta”.

Con il rischio di avventurarci in una difficile introspezione psicologica, ci potremmo chiedere se molti di questi giovani si riconoscano ancora in un paese dove la classe dirigente litiga in televisione e riversa la sua insipienza in un gigantesco debito pubblico, dove ormai domina lo sproloquio e la maleducazione, e dove la borghesia tende a difendere la prosperità acquisita, abdicando alla sua naturale aspirazione di progresso civile e culturale.

La scelta di emigrare e soprattutto di optare per la nazionalità del paese di accoglienza riflettono una rottura di fiducia nei confronti del paese di origine.

Giuseppina ha 32 anni. È nata a Campobasso, ha studiato linguistica a Roma, e da sei anni è a Bruxelles, dove lavora per una ONG. È diventata cittadina belga nel marzo scorso: “Mi sono sottoposta a una inseminazione artificiale, con un donatore anonimo, e ora aspetto un bambino in luglio. Non sarebbe stato possibile in Italia”.

La mia interlocutrice ha deciso di ottenere la nazionalità belga per poterla trasmettere al figlio non appena nato. Ammette: “La mia è stata in parte una scelta politica, per sfuggire a una scena italiana che mi è sempre più lontana, senza per questo tradire le mie origini meridionali”. Aggiunge: “La cultura del lavoro qui è molto diversa che in Italia. Non potrei più lavorare nel mio paese”. Considera il cambio di nazionalità anche “un atto di riconoscenza” nei confronti del Belgio che l’ha accolta.

La tendenza a chiedere una nuova nazionalità si registra anche in Francia, seppur in proporzioni diverse. Le naturalizzazioni di cittadini italiani nati in Italia sono aumentate progressivamente, da 498 nel 2018, a 548 nel 2020, fino a toccare il livello di 606 nel 2023, secondo le statistiche del ministero della Giustizia.

La situazione in Germania appare leggermente diversa, secondo l’Ufficio federale di statistica a Wiesbaden. Tra gli italiani residenti nella Repubblica Federale, i dati mostrano 4.000 naturalizzazioni nel 2023, stabili rispetto al 2021, ma in aumento dal 2015 quando erano 3.406.

I dati dovrebbero far riflettere. Certo, non è la prima volta che l’Italia subisce una ondata di emigrazione. In passato, però, il quadro era molto diverso. Si partiva in condizioni disagiate, con mezzi precari, verso paesi stranieri. Non esistevano né le reti sociali né le compagnie a basso costo. Il legame con la madre patria veniva inevitabilmente spezzato.

Oggi, quanto possiamo realmente considerare stranieri paesi quali il Belgio, la Francia o la Germania? Tra le altre cose, grazie alle regole in vigore nell’Unione europea un cittadino italiano può liberamente risiedere in un qualsiasi Stato membro godendo degli stessi diritti e degli stessi doveri dei suoi vicini di casa belgi, francesi o tedeschi.

Insomma, c’è forse nel cambiare nazionalità una forma di risentimento se non di rigetto del proprio paese di origine? “Sì”, risponde senza esitazioni Lucia, che aggiunge: “La mia esperienza degli ambienti lavorativi italiani è stata a dir poco deludente. Non c’è alcun interesse ad investire nelle risorse umane. Non c’è alcuna prospettiva di carriera, e c’è ben poco riconoscimento per le proprie competenze personali”.

La tendenza al cambio di nazionalità da parte dei giovani italiani qui in Belgio e altrove in Europa si rivela paradossale mentre al potere a Roma c’è un governo che ha fatto di Italians First il suo motto ideale.

(*) la circoscrizione consolare di Bruxelles comprende oltre alla capitale belga anche le Fiandre e la provincia del Brabante Vallone (escluse le città di Liegi, Mons e Charleroi)

(Nella foto tratta da Internet, l’allora premier Giuseppe Conte con il suo ministro degli Interni Matteo Salvini – I due formarono un governo Lega-Cinque Stelle tra il 2018 e il 2019)

  • habsb |

    dr. Romano
    Se Lei scrive che “grazie alle regole in vigore nell’Unione europea un cittadino italiano può liberamente risiedere in un qualsiasi Stato membro godendo degli stessi diritti e degli stessi doveri dei suoi vicini di casa belgi, francesi o tedeschi.”, allora non si capisce proprio perché gli emigrati italiani richiedano la nazionalità del paese di adozione

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