L’ennesimo cambio di governo in Francia, il quarto da quando Emmanuel Macron è stato eletto alla presidenza della Repubblica, è stato voluto dal Capo dello Stato nel tentativo “di riarmare e di rigenerare il paese”. Molti commentatori si sono concentrati sulla svolta a destra, con la nomina alla Cultura di Rachida Dati e al Lavoro di Catherine Vautrin, due esponenti dei Républicains. Il tentativo è di attirare voti a destra.
Ha fatto molto discutere anche la nomina di Gabriel Attal, il più giovane primo ministro nella storia di Francia. Ha 34 anni. Ottimo comunicatore, ha tuttavia una esperienza limitata, fosse solo per la giovane età. Si dice che in occasione del primo consiglio dei ministri il presidente abbia esortato i suoi collaboratori a rispettare il nuovo premier: “Chiedo disciplina repubblicana – avrebbe detto -. Questo governo sarà dettato dagli stati di servizio, non dagli stati d’animo”.
Molti hanno visto nella nomina di Gabriel Attal il tentativo di sancire una svolta, di premiare un collaboratore fedele, e di ringiovanire l’esecutivo. L’ormai ex prima ministra Elisabeth Borne, 62 anni, è stata professionale e anche efficace all’Hôtel de Matignon, ma di una efficienza grigia e forse anche anonima.
Più precisamente, lo sguardo di Emmanuel Macron corre all’estrema destra. La figura di spicco del Rassemblement National è certamente Marine Le Pen, che del partito è capogruppo all’Assemblea Nazionale, ma nei fatti il movimento è guidato da una diarchia, e l’altro esponente è Jordan Bardella.
Quest’ultimo è presidente del partito e capolista alle prossime elezioni europee. Figlio di immigrati italiani, giunti in Francia negli anni 60, l’uomo ha 28 anni ed è molto popolare (su X, l’ex Twitter conta 361mila lettori). L’obiettivo di Emmanuel Macron è di contrastarlo affidandosi a un primo ministro altrettanto giovane e in voga (223mila lettori su X).
D’altro canto, secondo gli ultimi sondaggi – in particolare quello Ipsos-Sopra Steria pubblicato da Le Monde a metà dicembre – il Rassemblement National è in cima alle intenzioni di voto: raccoglie il 28% dei suffragi in vista delle elezioni europee, rispetto al 20% di Renaissance, il partito presidenziale.
C’è di più: i tre partiti della destra radicale – ossia il Rassemblement National, Reconquête (di Eric Zemour) e Debout la France (di Nicolas Dupont-Aignan) – ottengono insieme il 37% delle intenzioni di voto, un massimo storico.
Più interessante ancora è che sempre secondo i sondaggi gli elettori più incerti se votare o meno sono i giovani, gli operai e gli impiegati. Appena il 28% dei francesi con una età tra i 18 e i 24 anni è sicuro di votare il 9 giugno.
Si capisce meglio quindi la scelta di nominare Gabriel Attal alla guida del governo: competere con la popolarità di Jordan Bardella e convincere i più giovani. Lo stesso sondaggio rivela che tra il giugno 2023 e il dicembre 2023 la lista guidata dal giovane lepenista è l’unica che beneficia di un leggero aumento dei consensi, soprattutto da parte di persone che sei mesi prima non pensavano di votare.
Peraltro, il margine di mobilitazione degli elettori da parte del partito presidenziale rischia di essere limitato: il 58 % dei suoi sostenitori più fedeli è comunque pronto a votare per Renaissance in giugno, rispetto al 51% che votò per Emmanuel Macron alle ultime presidenziali.
In questa ottica, l’interpretazione da dare all’ennesimo rimpasto di governo – Gabriel Attal è il quarto primo ministro dal 2017 – diventa più chiara. Quanto sarà efficace per vincere alle prossime elezioni è tutto da vedere. Superate le consultazioni europee di giugno, è previsto il voto locale nel 2026 e a seguire le elezioni presidenziali del 2027.