L’invasione russa dell’Ucraina ha indotto la Germania a prendere decisioni storiche sul fronte della difesa. Oltre a nuovi investimenti per 100 miliardi di euro, Berlino si è detta pronta ad aumentare la spesa militare per portarla rapidamente al 2,0% del PIL, come richiesto dalla Nato (oggi è dell’1,49%).
Un rapporto del Bundestag (Unterrichtung durch die Wehrbeauftragte – Jahresbericht 2021) rivelava che nel 2020 appena il 50% dell’equipaggiamento militare tedesco funziona correttamente. Più di una volta in passato la Luftwaffe ha dovuto ammettere che molti suoi aerei erano oggetto di manutenzione, e quindi inutilizzabili. Tra i primi acquisti annunciati dal governo federale, vi è quello di 35 caccia F-35. C’è di più. Sempre nell’aeronautica, vi erano nel 2020 appena 106 piloti di caccia sui 220 previsti. Inoltre, Berlino vuole mettere a punto una nuova dottrina militare che deve essere pronta nei primi mesi dell’anno prossimo.
Nel contempo, a sorpresa, il governo ha accettato che l’Unione europea usasse per la prima volta la European Peace Facility per finanziare l’invio di armi all’Ucraina per un totale di un miliardo di euro. Nei giorni scorsi, la Süddeutsche Zeitung ha rivelato che Berlino avrebbe rifornito il paese di armi per 300 milioni di euro. Non materiale appartenente alla Bundeswehr, com’era successo nei primi giorni del conflitto, ma acquistato direttamente sul mercato.
Per quasi 80 anni la Germania ha tenuto un basso profilo sul piano militare. Sulla scia della sconfitta e dell’Olocausto nazisti, l’establishment tedesco ha optato perché il paese fosse una grande Svizzera: lo sguardo rivolto al commercio, sotto l’ombrello difensivo della Nato. Wandel durch Handel (cambiamento attraverso il commercio) è stato il motto dei dirigenti tedeschi. La stessa Unione europea è nata e si è sviluppata a immagine della Repubblica Federale: mercato unico e potenza regolamentare. Nulla di più.
Nel corso degli anni, tre fattori hanno contribuito a cambiare le carte in tavolo: la guerra in Irak e la presidenza Trump che corrispondono nei fatti a un crescente unilateralismo americano e di converso a forme di emancipazione tedesca nei confronti degli Stati Uniti; la pandemia da coronavirus che ha messo in luce la grave dipendenza economica del paese da un mondo instabile e imprevedibile; e infine la guerra in Ucraina, che sta mettendo a rischio la stabilità stessa dell’Europa.
Le ultime scelte del governo tedesco fanno parte quindi di un processo durante il quale, forte anche dell’unificazione, il paese poco alla volta ha preso coscienza della propria sovranità e si è dimostrato pronto a puntare i piedi in campo europeo e internazionale.
La scelta del governo tedesco di rafforzare la propria difesa è segnata da lucidità, ma anche reticenze. Mi spiego meglio. Berlino sa che la situazione internazionale è pericolosa e non può permettersi di rimanere con le mani in mano. Deve investire in sicurezza. Ma non vuole con questa scelta né creare un nuovo militarismo in Germania né una corsa al riarmo tra i paesi vicini.
Qualche giorno fa, il cancelliere Olaf Scholz ha assicurato alla premier svedese Magdalena Andersson in visita a Berlino che la Svezia “potrà contare” sull’aiuto dell’Unione europea nel caso il paese scandinavo, neutrale nelle relazioni internazionali, fosse attaccato dalla Russia.
Il cancelliere ha citato l’articolo 42.7 dei Trattati il quale afferma che se un membro dell’Unione Europea è vittima di “un’aggressione armata sul suo territorio”, gli altri Stati membri hanno “l’obbligo di aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro potere”.
Il dato politico è interessante. La Germania concepisce il rafforzamento della sua difesa nel contesto europeo. Prima di tutto perché c’è evidente spazio per giganteschi risparmi. In un rapporto del Parlamento europeo pubblicato nel 2020 (Improving the
quality of public spending in Europe – Budgetary waste rates in EU Member States) si notava che i paesi membri avevano ai tempi in dotazione 17mila carri armati, di 37 modelli diversi. Gli Stati Uniti avevano 27mila carri armati, di nove modelli diversi.
In secondo luogo, il governo tedesco non può permettersi, per i motivi citati prima, di giocare una partita a sé. Una corsa al militarismo e al riarmo sarebbe troppo pericolosa. Se il ragionamento è corretto, a questo punto spetterà alla Francia scoprire le carte e mettersi pienamente in gioco sul fronte militare. Non può esserci una difesa europea senza un nocciolo duro francese, nello stesso modo in cui non poteva nascere la moneta unica senza il contributo della Bundesbank.
Parigi ha l’esercito più importante, più efficiente e più moderno d’Europa, e detiene l’arma nucleare. Si vota in Francia i prossimi 10 e 24 aprile. Il futuro presidente francese avrà la responsabilità di rispondere all’appello tedesco. Sperabilmente, si renderà conto che anche alla Francia converrebbe convogliare il nuovo riarmo tedesco in un ambito europeo.
(Nella foto, il cancelliere federale tedesco, il socialdemocratico Olaf Scholz, 63 anni)