La questione polacca scoppiata nelle scorse settimane ha pochi precedenti. A Varsavia, in una storica sentenza la Corte costituzionale ha messo in dubbio il principio della preminenza del diritto comunitario sul diritto nazionale. Per tutta risposta, l’establishment comunitario sta nei fatti bloccando il benestare al piano di rilancio economico polacco (in tutto 24 miliardi di euro di sussidi).
Parlando alla rete televisiva Polsat, il viceministro per i fondi regionali Waldemar Buda ha minacciato il veto sul pacchetto di misure ambientali noto con l’espressione inglese Fit for 55: “La sequenza deve essere chiara: prima il denaro del NextGenerationEU, e poi la discussione sul pacchetto clima”, ha spiegato. Ci sono “molte ragioni” perché Varsavia possa bloccare il patto ambientale.
I confronti storici sono sempre delicati, ma in alcuni casi aiutano a fare previsioni o tutt’al più a fare chiarezza. Quasi 30 anni fa una vicenda non troppo dissimile spaccò l’Unione europea, e si concluse con la sconfitta, del paese riottoso, guarda caso la Gran Bretagna.
Era il 1996, e l’Europa stava affrontando la crisi della “mucca pazza”, ossia di una grave malattia degenerativa che secondo gli scienziati poteva trasmettersi all’uomo. I 14 partner del Regno Unito decisero di bloccare le importazioni di manzo dalla Gran Bretagna, per proteggere la salute pubblica e i consumatori europei.
La decisione comunitaria fu accolta molto negativamente a Londra, che per alcune settimane decise di bloccare i lavori consigliari a Bruxelles. La politica di non-cooperazione, come fu chiamata all’epoca, si tradusse nella presenza al tavolo del rappresentante britannico, le braccia conserte, il viso inespressivo, la voce muta. Il Regno Unito riuscì a ostacolare non meno di 100 decisioni, secondo una corrispondenza di allora del New York Times.
Mai dal 1965 – vale a dire dalla politica della sedia vuota decisa ai tempi da Charles de Gaulle – l’Unione europea era stata costretta ad affrontare una crisi simile.
Le scelte britanniche di bloccare i lavori consigliari crearono tensioni tra i partner e si ritorsero contro il governo britannico guidato dal conservatore John Major. Dubbi sull’effettivo blocco delle importazioni britanniche di manzo provocarono un forte calo della domanda di carne in Europa continentale, con il risultato che a mo’ di rappresaglia gli agricoltori francesi bloccarono alcuni porti sulla Manica, impedendo ai turisti inglesi di sbarcare in Francia.
In un vertice comunitario a Firenze, nel giugno del 1996, fu finalmente trovato un accordo tra i 15 paesi membri dell’Unione europea. Come detto, il Regno Unito ne uscì sconfitto. Non solo fu confermato il blocco delle esportazioni di manzo inglese, peraltro senza prevedere scadenze precise; ma fu anche deciso di uccidere 120mila capi di bestiame, tre volte il numero proposto in precedenza da Londra.
La vicenda potrebbe contenere alcune lezioni. In un contesto come quello comunitario, dove l’integrazione è profonda e gli interessi molteplici, il veto del singolo paese è una arma a doppio taglio: permette di bloccare alcune scelte, ma è anche potenzialmente un suicidio politico. Non mi riferisco solo al rancore provocato tra i partner e alle rappresaglie emerse qua e là quanto al fatto che tra le decisioni bloccate ve ne sono certamente alcune che al paese riottoso interessano.
Venti anni dopo la guerra della carne, come venne chiamata dai giornali dell’epoca, il Regno Unito lasciò l’Unione europea. Ormai c’è chi parla di Polexit, dopo il recente Brexit. Senza giungere a questo punto, e limitandoci alle ultime schermaglie, c’è da chiedersi se, nello stesso modo in cui Londra si arrese nella vicenda della mucca pazza, Varsavia – privata di fondi europei – sarà costretta a un compromesso sullo stato di diritto, fosse solo temporaneo.