Il voto tedesco di domenica 26 settembre ha fatto emergere una doppia Germania. A Ovest gli elettori hanno votato per i partiti più tradizionali. A Est, si registra un evidente successo di Alternative für Deutschland. È vero che rispetto alle elezioni di quattro anni fa il movimento nato nel 2013 perde consensi, scendendo a livello nazionale dal 12,6% al 10,3%. Nel contempo mette radici a Est, confermando per molti versi una tendenza tanto storica quanto culturale.
Guardiamo alle cifre. L’AfD è ormai il primo partito in Sassonia e in Turingia, il secondo nel Brandeburgo e nel Meclemburgo-Pomerania Occidentale, il terzo in Sassonia-Anhalt. Nell’insieme della ex DDR, il partito nato euroscettico e poi diventato xenofobo è il secondo movimento politico dopo i socialdemocratici, ottenendo il 19,1% dei voti, rispetto al 24,2% dell’SPD, e confermando grosso modo il risultato del 2017.
Il dato è interessante: mostra che nonostante la riduzione del divario economico e sociale permangono divergenze politiche tra le due Germanie. Un commentatore tedesco si chiedeva nelle scorse ore se l’AfD non sia diventata la “Lega Ost”, ossia la Lega Nord della Germania orientale.
Si parlava qualche anno fa di Die Mauer im Kopf, il muro nella testa per sottolineare le differenze di mentalità tra le due regioni del paese. Addirittura, si sosteneva che nella ex DDR serpeggiasse il sentimento di Ostalgie, ossia di una nostalgia per il regime comunista-orientale, autoritario, illiberale, ma che a modo suo garantiva una certa stabilità e sicurezza in un contesto di incertezza economica e sociale.
Differenze permangono nonostante vi siano stati movimenti di popolazione tra Est e Ovest, e nonostante, come detto, la ex DDR abbia recuperato molto del terreno perduto, in questi 30 anni dalla caduta del Muro di Berlino. Tuttavia, attribuire il divario politico al retaggio comunista potrebbe essere fuorviante. Anche in passato, la parte orientale della Germania si è dimostrata più conservatrice, se non reazionaria, rispetto a quella occidentale.
Le carte elettorali degli anni 30 dimostrano come a votare per il partito nazista fu proprio la Prussia, più che la Renania o la Baviera. Nelle elezioni del novembre 1932 furono i distretti dell’Ostelbien, a Est dell’Elba, a scegliere Adolf Hitler. In molti collegi con oltre il 40% dei voti, in alcuni collegi addirittura con oltre il 50% dei voti. Il voto legislativo del marzo del 1933 replicò lo stesso scenario. (I dati provengono dalle ricerche di John O’Loughlin, professore dell’Università del Colorado a Boulder e di Jürgen W. Falter, storico dell’Università di Magonza).
Viceversa, l’appoggio al Nazismo nella parte occidentale e sud-occidentale del paese, al di qua del limes romano, fu assai minore sia nel 1932 che nel 1933. Interessante è di mettere le cartine elettorali a confronto con quelle demografiche e sociali. Emerge che a votare per il Führer furono soprattutto i protestanti dell’Est, più che i cattolici dell’Ovest, gli Junker dell’Ostpreussen più che gli imprenditori del Rheinland.
Sappiamo che la Germania di oggi non è quella di ieri, e che l’AfD non è il NSDAP. Non vedo in questo momento alcun rischio reazionario in Germania. Ma vi sono forse tendenze culturali che spiegano sottotraccia i risultati ottenuti dall’estrema destra nel voto di domenica scorsa. Al di là della particolare esperienza della ex DDR, a Est domina un maggiore desiderio di ordine, di rigore e di stabilità dinanzi a un mondo particolarmente incerto e preoccupante.
(Nell’immagine tratta da Internet, in blu i suffragi per l’AfD (secondo voto, quello dato al partito) nella regione della Sassonia alle elezioni del 26 settembre 2021)