Il sofferto negoziato sul bilancio comunitario, a cui è associato il Fondo per la Ripresa da 750 miliardi di euro, potrebbe essere vicino alla sua conclusione. Nei giorni scorsi è stato trovato un accordo tra Parlamento e Consiglio sul principio di legare l’esborso di fondi europei al rispetto dello stato di diritto. A breve potrebbe esserci anche una intesa sull’ammontare del bilancio. Resta da finalizzare il regolamento che servirà a gestire il Fondo per la Ripresa da 750 miliardi di euro.
Il pacchetto finanziario è complesso anche perché composto da tasselli che vanno approvati con modalità diverse. Il bilancio deve ottenere la maggioranza dei deputati e l’unanimità dei Ventisette. Altri aspetti sono invece approvati alla maggioranza sia dei parlamentari che dei paesi membri. Nei fatti ciò dà a ciascun governo un diritto di veto sull’intero pacchetto. Lo sguardo in questi giorni corre all’Ungheria.
Il governo ungherese ha già fatto capire di essere infelice del compromesso raggiunto tra Parlamento e Consiglio sul modo in cui l’esborso del denaro comunitario deve essere condizionato al rispetto dello Stato di diritto. L’accordo prevede che – su proposta della Commissione europea – il Consiglio possa votare il congelamento dei fondi nel caso non solo ci siano state ruberie e altre frodi, ma anche quando vi siano rischi per l’intero quadro finanziario.
Da Budapest, giovedì scorso, la ministra della Giustizia Judit Varga ha parlato di “ricatto politico ed ideologico (…) inaccettabile”. Secondo le informazioni raccolte qui a Bruxelles, in una riunione diplomatica venerdì pomeriggio il rappresentante ungherese presso l’Unione ha criticato anch’egli il compromesso perché non rispettoso dell’accordo che i Ventisette avevano raggiunto a livello di capi di Stato e di governo nel luglio scorso. Il diplomatico ha ricordato l’impegno dei partner a garantire l’equilibrio in un pacchetto ampio. Tuttavia, secondo alcuni partecipanti alla riunione, non ha preannunciato l’uso di un veto sul bilancio per ottenere causa vinta sul fronte dello stato di diritto. (Successivamente, il premier Viktor Orbán ha scritto una lettera alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, avvertendo che non avrebbe potuto dare il suo consenso sull’accordo di bilancio).
Diplomatici qui a Bruxelles ammettono che la posizione ungherese è difficile da decifrare: “Ci stanno lasciando nel buio”, notava nei giorni scorsi a denti stretti un negoziatore europeo. La questione è certamente delicata per Budapest, e il premier Orbán è noto per essere un uomo combattivo, oltre che nazionalista. Al tempo stesso, vi sono due motivi per pensare che l’Ungheria dovrebbe evitare di mettere a repentaglio il bilancio. Il primo aspetto è economico, il secondo politico.
Le ultime previsioni della Commissione europea, pubblicate anch’esse la settimana scorsa, rivelano che il paese sta soffrendo della recrudescenza dell’epidemia influenzale più di altri in Europa dell’Est. Nel 2020, l’economia dovrebbe contrarsi del 6,4% (in Polonia, tanto per fare un confronto con un altro grande paese della regione, la recessione dovrebbe essere del 3,6%). Il crollo degli investimenti dovrebbe essere del 10,4% (in Polonia, del 6,2%). Sempre nel 2020, l’occupazione dovrebbe scendere del 3,5% (in Polonia dell’1,7%). Anche i conti pubblici ungheresi non vanno bene: il deficit dovrebbe salire all’8,4% del PIL, il debito al 78% del PIL.
Il paese è un grande beneficiario del bilancio comunitario. Nel solo campo dei fondi regionali e di coesione, l’Ungheria ha ottenuto nel 2014-2020 oltre 17 miliardi di euro (circa il 10% del PIL nazionale). Dal nuovo Fondo per la Ripresa dovrebbe ottenere oltre 20 miliardi di euro, tra sussidi e prestiti. Vorrà il premier Orbán mettere a rischio questo denaro in un contesto economico così drammatico?
L’altra ragione per cui Budapest dovrà calcolare bene se fare uso eventuale di un veto al bilancio per ottenere cambiamenti sul fronte dello stato di diritto è politica. Agli occhi dell’Ungheria, il compromesso tra Consiglio e Parlamento è certamente peggiore dell’accordo siglato tra i Ventisette in luglio. Lo spettro di azione del meccanismo è stato notevolmente ampliato. Il pericolo, tuttavia, è che nel bloccare l’intesa le parti possano mettersi d’accordo su una intesa ancora più insoddisfacente per Budapest.
Conviene al premier Orbán alzare la posta in gioco? Razionalmente no, tanto più che l’Ungheria rischia di essere isolata. Nella riunione diplomatica di venerdì, la Polonia è rimasta cauta e non si è esposta; mentre per gli altri paesi il compromesso raggiunto da Consiglio e Parlamento era in linea di massima accettabile.
(Nelle foto, il premier ungherese Viktor Orbán in una foto di Hungary Today – Questo pezzo è stato aggiornato successivamente alla prima stesura per informare della lettera inviata dal primo ministro ungherese alla presidente della Commissione)