Scrivo questo articolo mentre i capi di Stato e di governo si stanno riunendo qui a Bruxelles per negoziare un difficile accordo sul prossimo bilancio comunitario 2021-2027. L’esito della riunione rimane incerto. Uno dei nodi negoziali è il modo in cui sorvegliare l’uso del denaro europeo nei singoli paesi membri. I soldi del Fondo per la Ripresa sono molti – possibilmente 750 miliardi di euro raccolti sul mercato – ed è naturale che i Ventisette vogliano creare un meccanismo di controllo reciproco.
L’Olanda chiede un sistema basato sull’unanimità. Il governo olandese, anche per motivi populistici di politica interna, vuole poter mettere il veto al momento dell’esborso del denaro. Le sue preoccupazioni sono comprensibili. Alcuni paesi membri sono noti per avere una amministrazione pubblica fatiscente, una criminalità organizzata senza scrupoli, una classe politica clientelare e forse anche in generale un basso livello di moralità, che lo shock economico provocato dalla pandemia influenzale rischia di peggiorare ulteriormente.
Come detto, i motivi del premier Mark Rutte sono comprensibili, ma i rischi per il futuro dell’Unione di una scelta all’olandese sarebbero enormi. La storia polacca a cavallo tra Cinquecento e Settecento è un caso di scuola.
Ai tempi, fin dalla firma dell’Unione di Lublino nel 1569, il Regno di Polonia faceva parte di una confederazione con il Granducato di Lituania. Era uno dei paesi più vasti d’Europa. La classe nobiliare controllava il paese e soprattutto i suoi organi politici. Fu introdotta più o meno surretiziamente la regola secondo la quale la dieta polacca, il Sejm, dovesse approvare le leggi all’unanimità dei suoi membri, rappresentanti a Varsavia di specifiche regioni del paese. Da un lato, si voleva garantire l’eguaglianza totale dei membri. Dall’altro, era un modo paradossale per contrastare il potere assoluto della Monarchia.
Il sistema, noto con l’espressione liberum veto, permetteva a qualsiasi parlamentare di bloccare qualsiasi provvedimento, in alcuni casi anche i testi approvati in precedenza dalla stessa sessione parlamentare. In una terribile deriva istituzionale, il veto di un solo deputato permise poco alla volta anche lo stesso scioglimento della Camera. Durante il regno di Giovanni III Sobieski (1674-1696), metà delle sessioni parlamentari furono interrotte da un veto.
La regola fu in vigore tra la metà del Seicento e la fine del Settecento. Prima fu applicata a livello nazionale e poi anche a livello regionale, nei singoli Sejmik locali. Secondo lo storico Jacek Jedruch, autore di Constitutions, Elections, and Legislatures of Poland, 1493-1977 : a Guide to Their History, tra il 1573 e il 1763, il Sejm si riunì in sessione 150 volte. In 53 casi, la Camera non riuscì ad approvare alcun provvedimento, e in 32 casi su 53 a pesare fu l’uso del liberum veto.
Storici della Polonia sostengono in modo convincente che la regola dell’unanimità trascinò il paese nel caos, anche perché Russia e Prussia iniziarono a corrompere singoli parlamentari purché usassero il veto e bloccassero la vita politica. Vittima dell’anarchia, il paese finì per essere governato da magnati locali e potentati regionali.
Nel 1791, il principio dell’unanimità fu abolito e nella Costituzione della confederazione polacco-lituana fu introdotta la regola della maggioranza. Era troppo tardi. Paralizzato e indebolito, il paese fu oggetto di nuove spartizioni tra i suoi vicini, più grandi e potenti.
Vuole l’Olanda che l’Unione europea di oggi faccia la stessa fine della Polonia di fine Settecento? Non lo credo.
(Nella foto, il premier Mark Rutte, 53 anni, in arrivo nella sede del Consiglio Europeo a Bruxelles, il 17 luglio 2020)