Si voterà in Francia domenica prossima, il 28 giugno, per il secondo turno delle elezioni locali. Gli ultimi sondaggi lasciano presagire un risultato modesto del Rassemblement National, il partito di Marine Le Pen. Otterrebbe il 2,3% dei voti (rispetto al 4,8% di sei anni fa). Il voto locale francese può essere l’occasione di fare una prima analisi di come la pandemia influenzale, che ha colpito il continente negli ultimi mesi, stia influenzando la scena politica. In molti paesi stiamo assistendo a un indebolimento dei partiti più radicali ed euroscettici.
In Germania, Alternative für Deutschland è ormai sotto al 10% nei sondaggi. Al 9% secondo il Forschungsgruppe Wahlen, la società di Mannheim, rispetto al 14% all’inizio dell’anno. In Spagna, il partito di destra Vox è sceso dai massimi di inizio anno e oscilla ora sotto al 15%. Anche l’Italia mostra tendenze simili, anche se meno nette: la Lega di Matteo Salvini è scesa dal 32% di gennaio al 26% di oggi. Il partito Fratelli d’Italia, viceversa, è salito, dall’11 al 14% delle intenzioni di voto (le cifre francesi, italiane e spagnole sono tratte dal sito di www.politico.eu).
I dati sono relativi, da prendere con cautela, ma pur sempre interessanti. E’ noto che nei momenti di crisi acuta il governo in carica gode di un sostegno popolare, soprattutto se dà la sensazione di avere la situazione in mano, come in Germania dove i democristiani della cancelliera Angela Merkel sono saldamente in testa. L’opposizione soffre un po’ ovunque in Europa.
Ciò detto, vi sono forse ragioni più particolari per spiegare il parziale indebolimento dei partiti più radicali ed euroscettici.
Quando è arrivata alla guida della Commissione europea, nel novembre scorso, Ursula von der Leyen ha fatto di due settori i suoi cavalli di battaglia: l’ambiente e il digitale. L’obiettivo era duplice. Da un lato certamente preparare l’Europa al futuro e rispondere alle richieste della pubblica opinione, ma anche portare il dibattito pubblico su temi nei quali i partiti nazionalisti sono per loro natura impotenti e anacronistici.
Nello stesso modo in cui le nuvole e l’inquinamento non conoscono le frontiere, il digitale oltrepassa i confini. Non si può pensare, per esempio, di avere una politica solo nazionale contro gli attacchi cibernetici; così come è inutile creare una rete digitale solo nazionale quando Internet è per sua natura mondiale. Le proposte nazionalistiche di erigere nuove frontiere non sono utili, anzi rischiano di essere controproducenti.
La pandemia influenzale ha una natura non dissimile. Il virus, come abbiamo visto, non conosce le frontiere. Certo, i controlli doganali sono tornati ai confini, i viaggi sono stati interrotti, i paesi si sono chiusi su sé stessi. Al tempo stesso, l’epidemia ha mostrato come i paesi poco possano fare da soli per combattere le malattie virali, e ha di conseguenza rilanciato la cooperazione scientifica, almeno tra i paesi europei.
C’è di più. Il confinamento ha messo in luce quanto il mercato unico sia essenziale per smaltire la produzione dei singoli paesi; quanto profonda sia l’integrazione produttiva tra i paesi europei; e quanto l’Europa sia una meta quotidiana di svago e di lavoro per milioni di cittadini. Imprese e persone hanno toccato con mano cosa significhi chiudere le frontiere europee, così come suggerito dai leader nazionalisti.
Infine, l’epidemia ha reso più tesi i rapporti internazionali con gli Stati Uniti di Donald Trump e la Cina di Xi Jinping. Ha messo in luce politiche controverse, se non pericolose. Al di là delle scelte comunitarie di inondare i mercati di liquidità, di raddoppiare il bilancio europeo, di prendere a prestito sui mercati, e di distribuire sussidi e prestiti, agli occhi di molti elettori tedeschi, italiani, francesi o spagnoli l’Unione si sta rivelando un porto sicuro – lo stesso Regno Unito sembra avere cambiato idea nelle trattative sull’uscita dall’Unione e vuole ora trovare un modus vivendi post-Brexit con Bruxelles.
La tendenza appena descritta è ancora tutta da verificare; in alcuni casi potrebbe essere capovolta facilmente. In Italia, peraltro, il fenomeno appare meno evidente che altrove – a conferma di una grave e pericolosa eccezione italiana. Eppure, più in generale, la crisi sanitaria ed economica potrebbe rimettere in discussione il populismo nazionalista degli ultimi anni, soprattutto se i Ventisette riuscissero a trovare rapidamente un accordo sul prossimo bilancio europeo.
(Nella foto, Marine Le Pen e Matteo Salvini in una foto dell’ottobre del 2018 tratta dal sito di L’Opinion)