L’incontro dei capi di Stato e di governo della Nato questa settimana a Londra sarà l’occasione per festeggiare i 70 anni dell’organizzazione militare. I sentimenti sono contrastanti. Le tensioni tra i paesi membri non mancano. Conosciamo bene quelle tra gli Stati Uniti e i paesi europei. Conosciamo meno bene quelle che serpeggiano tra Parigi e Berlino.
In una ormai nota intervista a The Economist, il presidente francese Emmanuel Macron ha affermato che la Nato è in uno “stato di morte cerebrale”, notando tra le altre cose la mancanza di coordinamento tra gli alleati e mettendo in dubbio l’utilità dell’organizzazione militare mentre l’Unione europea vuole assumere un maggiore ruolo politico a livello internazionale.
Critica delle parole del Capo dello Stato, la cancelliera Angela Merkel ha risposto che la Nato rimane “una pietra miliare della nostra sicurezza”. Mentre la nuova presidente della Commissione europea ed ex ministra della Difesa tedesca Ursula von der Leyen ha definito l’alleanza militare “un eccellente scudo protettivo della libertà”.
Perché la Germania crede ancora così fermamente alla Nato e al rapporto con Washington, nonostante alcune significative prese di distanza in questi ultimi anni, per esempio in occasione delle guerre in Iraq o in Libia?
Dopotutto, la cancelliera ha potuto toccare con mano l’atteggiamento sprezzante dell’ambasciatore americano a Berlino Richard Grenell, che negli ultimi tempi ha appoggiato il partito nazionalista Alternative für Deutschland; criticato il progetto di gasdotto Nord Stream II; attaccato il governo federale per la sua politica ritenuta troppo accondiscendente nei confronti del gigante cinese Huawei. C’è di più: la stessa signora von der Leyen vuole che la sua Commissione sia “geopolitica”, lasciando intendere che la Nato potrebbe rivelarsi presto superata.
I motivi dietro all’atteggiamento dell’establishment tedesco sono almeno tre, e uno di questi riguarda la Francia.
Il primo motivo è legato ai profondi legami tra la Germania e gli Stati Uniti. Gioca prima di tutto il nesso anglosassone; e la presenza in America di 50 milioni di americani di origine tedesca. Già nel 1827, Goethe scriveva: “Amerika, du hast es besser” (America, sei la migliore). Nessuno, sui due lati dell’Atlantico, ha dimenticato che tra gli altri Joseph Pulitzer, Neil Armstrong, Walter P. Chrysler, William E. Boeing erano di origine tedesca e che i pianoforti Steinway furono inventati da Heinrich Steinweg. Nel 2010, è nato nel Congresso americano uno speciale Congressional German-American Caucus, che conta oggi 82 rappresentanti.
Nel contempo, i tedeschi hanno un sentimento di particolare riconoscenza nei confronti degli Stati Uniti per il ruolo che questi hanno giocato soprattutto durante la Guerra Fredda. Nella memoria nazionale, soprattutto in quella democristiana e liberale, hanno lasciato il segno i Rosinenbomber del 1948-1949 che per quasi un anno hanno approvvigionato Berlino Ovest, isolata da Mosca. Alla frontiera con l’impero sovietico, alla mercé di eventuali invasioni, la Germania occidentale ha potuto contare negli anni del Muro su una protezione americana che le ha permesso di crescere e svilupparsi.
All’inizio degli anni 2000, quando cancelliere era il socialdemocratico Gerhard Schröder, si contavano ancora 70 mila GIs di stanza nel paese. Oggi il numero è sceso, ma i militari americani sono ancora 40mila in una trentina di caserme. Ancora oggi la American Forces Network continua a trasmettere sul territorio tedesco. Difficile per l’establishment tedesco ignorare questa ingombrante presenza quando si discute con gli Stati Uniti o degli Stati Uniti.
In secondo luogo, dobbiamo anche tenere conto dei numerosi investimenti che la Germania ha fatto negli Stati Uniti, soprattutto dagli anni 90 in poi. Nel 2017, lo stock di investimenti tedeschi oltre-Atlantico ammontava a 310 miliardi di dollari. Tra le aziende presenti con fabbriche produttive o attività proprie vi sono BASF, BMW, Volkswagen, Daimler, Deutsche Telekom, Deutsche Bank. Nell’ultimo decennio, ossia dal 2008, lo stock di investimenti tedeschi oltre-Atlantico è cresciuto del 78%, secondo l’associazione imprenditoriale tedesca BDI. Gli Stati Uniti non sono solo un partner politico; sono anche un tassello essenziale per la stessa economia tedesca.
Infine c’è probabilmente un terzo motivo per cui la Germania è cauta nell’affrontare a viso aperto Washington e magari rivedere radicalmente la sua relazione con l’alleato americano: l’arma nucleare francese. Mi spiego meglio. Certamente, il rapporto tra Parigi e Berlino non è più quello che ha preceduto tre sanguinose guerre tra i due paesi nell’ultimo secolo e mezzo. Nel contesto comunitario, la relazione è talmente intesa, profonda, stretta che né la Francia né la Germania si sentono in alcun modo minacciate dal proprio vicino.
Tuttavia, nel rapporto tra i due paesi vi è uno squilibrio che non può essere cancellato, né ignorato. Si può avere pienamente fiducia di un paese munito dell’arma atomica con il quale i trascorsi storici sono stati segnati da conflitti cruenti e incomprensioni generazionali? Non si può rispondere alla domanda con un Sì o con un No, ma è giusto tenere a mente questo aspetto nel giudicare le diverse visioni che Francia e Germania possono avere del rapporto con Washington e nel capire perché la Germania, più della Francia, difende la Nato.
(Sopra, il presidente Macron e la cancelliere Merkel in una foto di archivio)