Emerge dalle ultime tornate di nomine comunitarie un segnale non banale: l’emarginazione dei paesi dell’Est e una grave spaccatura culturale tra le due Europe. Non mi riferisco solo al fatto che delle quattro cariche decise dai Ventotto non vi è alcun esponente dell’Europa centro-orientale. Il presidente della Commissione europea è tedesca, Ursula von der Leyen; il presidente del Consiglio europeo è belga, Charles Michel; il presidente della Banca centrale europea è francese, Christine Lagarde; e l’Alto Rappresentante per la Politica estera è spagnolo, Josep Borrell. Anche le nomine parlamentari hanno spostato il baricentro verso Ovest.
Il Parlamento europeo è composto da 22 commissioni. Dei 92 deputati eletti presidenti o vice presidenti, solo 24 provengono dai paesi dell’Est: 7 sono polacchi, 3 lettoni, 4 cechi, 5 rumeni, 3 ungheresi, 1 slovacco e 1 bulgaro. Vi è un solo presidente di commissione originario dell’Europa centro-orientale, una signora slovacca. Dei 14 vice presidenti dell’assemblea parlamentare, solo 5 sono gli esponenti dell’Est: 1 polacco, 2 ungheresi e 2 cechi.
Nella legislatura precedente, i paesi dell’Est avevano ottenuto sei presidenze di commissioni (quattro polacche, una bulgara e una ceca) e 35 vice presidenze (nove alla Polonia, otto alla Romania, cinque all’Ungheria, due alla Slovacchia, una alla Croazia, alla Bulgaria e alla Lettonia rispettivamente, sei alla Repubblica ceca, due alla Slovenia). Nella stessa legislatura 2014-2019, i vice presidenti dell’assemblea parlamentare provenienti dai paesi dell’Est erano quattro.
In un primo tempo l’accordo politico tra i Ventotto prevedeva che presidente del Parlamento europeo dovesse essere il socialista bulgaro Serghei Stanischev (in modo da garantire una presenza dell’Est con l’uscita di scena del polacco Donald Tusk, prossimo a lasciare la presidenza del Consiglio europeo). L’uomo è stato abbandonato al suo destino per vie di vicende di corruzione non pienamente chiarite. Al suo posto è stato eletto l’italiano David Sassoli, anch’egli socialista.
Il riorientamento del Parlamento europeo e in generale dei vertici comunitari è interessante. Riflette inanzitutto il “cordone sanitario” che ormai circonda molti paesi dell’Est, governati da partiti nazionalisti ed euroscettici, come il PiS in Polonia, Fidesz in Ungheria, ANO nella Repubblica Ceca. C’è di più. Due paesi – la Polonia e l’Ungheria – sono oggetto di una procedura ex articolo 7 dei Trattati per violazione dello stato di diritto. Altri due sono guardati con sospetto per gli stessi motivi: la Romania e la Bulgaria.
Più in generale, è cresciuta in questi ultimi anni l’incomprensione politica ma anche culturale tra Est e Ovest. Ai partner dell’Europa orientale i vicini occidentali rimproverano di non manifestare sufficiente solidarietà comunitaria, nonostante siano i principali beneficiari del bilancio europeo e soprattutto dei fondi strutturali (addirittura lo stesso premier ceco Andrej Babis è sospettato di frode ai danni del bilancio comunitario). Il risentimento nei confronti dell’Europa orientale è provocato anche dall’opposizione al ricollocamento dei rifugiati arrivati nei paesi del Mediterraneo e dal loro rapporto privilegiato con gli Stati Uniti, mentre l’Unione europea tenta di affrancarsi da Washington.
In molti ambienti dell’Europa occidentale, i paesi dell’Est sono ritenuti ormai un freno a una maggiore integrazione. Nei fatti, la Vecchia Europa ha ripreso il controllo dei vertici comunitari. Il segnale non può essere ignorato in una Italia guidata da un governo euroscettico. E’ vero che la situazione italiana è diversa. Tra le altre cose, lo dimostra l’elezione di David Sassoli alla guida del Parlamento europeo. Ma nella legislatura precedente, oltre all’assemblea parlamentare, gli italiani presiedevano tre commissioni (saranno due nell’attuale legislatura). La corsa italiana ad ottenere un portafoglio interessante nella prossima Commissione europea è tutta in salita.
(Nella foto, il nuovo presidente del Parlamento europeo David Sassoli e la prossima presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen martedì 16 luglio 2019 a Strasburgo)