Le ultime previsioni economiche della Commissione europea indicano che l’Italia crescerà nel 2019 di appena lo 0,2%. “Sono stime serie e realistiche”, ha detto questa settimana il commissario agli affari monetari Pierre Moscovici. E’ lecito naturalmente avere dubbi. Le previsioni contengono un margine evidente di incertezza. Benjamin Disraeli definiva le statistiche “Bugie, bugie, bugie…”. Chissà cosa avrebbe detto delle previsioni? Eppure Emile de Girardin era convinto che “Governare significa prevedere: nulla prevedere, significa non governare”.
Come allora non fare mente locale sulla nuova stima comunitaria? Anche la Banca d’Italia, il Fondo monetario internazionale e numerose istituzioni private hanno rivisto al ribasso le prospettive economiche, a dispetto delle parole del premier Giuseppe Conte, che qualche giorno fa ha previsto un 2019 “bellissimo”. Il previsto crollo dell’economia italiana ha ragioni congiunturali: il rallentamento mondiale, l’incertezza internazionale, una maggioranza litigiosa, probabilmente anche scelte economiche da parte del governo che non hanno aiutato l’economia (la riforma pensionistica, il reddito di cittadinanza, nuovi orari più restrittivi nel commercio, le polemiche sul futuro di una linea ferroviaria tra Torino e Lione).
Possiamo esserne sorpresi? Non credo. Da venti anni l’economia italiana è sistematicamente più debole delle altre economie in Europa. I dati mostrano come dall’inizio del secolo la crescita media italiana sia stata di un punto percentuale inferiore alla media della zona euro. Evidentemente il modello di crescita italiano ha fatto il suo tempo e sta mostrando la corda. Certo, l’imprenditoria ha incredibile inventiva e straordinario ingegno. La moda, l’agroalimentare, la meccanica, il design, il turismo sono tutti settori competitivi a livello internazionale (e che spiegano il successo di Milano). Eppure la verità è che non bastano più a risollevare le sorti del paese.
L’Italia è ormai soffocata dai due elementi: il debito e il clientelismo. I due fattori sono strettamente legati. Il primo finanzia il secondo a colpi di sussidi, imposte, tangenti, mini-pensioni, piccole e grandi elargizioni. Quanto più si sono moltiplicate le reti clientelari, tanto più è aumentato il debito pubblico, stringendo in una morsa la società italiana. Con la crisi scoppiata nel 2008, lo spirito clientelare si è rafforzato. Chi di noi non ha visto nel clan corporativo, nell’ordine professionale o nelle amicizie politiche la propria disperata salvezza? Pochi.
Oggi però il modello italiano è esangue. Basta un rallentamento ciclico della congiuntura europea perché l’economia italiana cada in stagnazione. La pressione dei mercati finanziari impedisce l’uso della spesa pubblica per rilanciare l’economia, ammesso che il denaro statale possa granché in un tessuto economico rigido e invecchiato. Le risorse che per decenni le corporazioni del paese si sono spartite generosamente si sono prosciugate col tempo. Vanno tra le altre cose a pagare miliardari interessi sul debito. In un luciferino circolo vizioso le angherie dell’amministrazione pubblica hanno nutrito l’evasione fiscale la quale di converso ha reso la stessa amministrazione ancor più inefficiente e il paese nel suo insieme ancora più povero.
Nel tentativo disperato di difendere grandi interessi e piccoli privilegi, si sono moltiplicate leggi, norme, regole, balzelli e soprusi, nel pubblico come nel privato. L’Ordine nazionale dei giornalisti, a cui appartengo, mi ha appena chiesto 20 euro (in aggiunta alla quota associativa annuale) per ottenere un nuovo tesserino professionale dopo che d’autorità sono stato trasferito da Milano a Roma perché residente all’estero (l’ordine è una istituzione nazionale, ma ogni regione ha il proprio registro e il proprio tesserino). Sempre in questi giorni, la mia banca italiana ha prelevato dal mio conto otto euro. Sull’estratto conto era scritto: “Per supero giacenza”. Quando ho chiesto spiegazioni mi è stato risposto che si tratta della vecchia imposta di bollo che una volta si pagava sui carnets di assegni, e che ora si paga su una giacenza superiore a 5000 euro.
Mai la Commissione europea ha ridotto le proprie stime di crescita nazionale di un punto percentuale in appena tre mesi (nel novembre scorso prevedeva ancora una crescita italiana dell’1,2% nel 2019). Il fatto deve far riflettere. E’ facile criticare il governo Conte. Non solo per via di misure discutibili: non è parlando con ottimismo del futuro o accusando la presunta insipienza degli altri che si affrontano i problemi. Ma mentiremmo a noi stessi se attribuissimo l’attuale situazione economica alla maggioranza al potere. Ha le sue colpe, ma non tutta la responsabilità.
NB: Dal fronte di Bruxelles (ex GermaniE) is also on Facebook