Nei giorni scorsi, un lettore, Mario Ferretti, ha lasciato questo messaggio, a commento di un articolo pubblicato sul sito del Sole/24 Ore dedicato alle annose vicende relative al bilancio italiano:
“L’Italia è portatrice d’una cultura sociale in cui le regole non sono importanti di per sé. Per questo motivo, l’approccio formale che l’esecutivo comunitario sta seguendo anche in questi giorni non ha molta probabilità d’essere compreso dalla maggioranza degli Italiani. Come alternativa e per poter interagire con gli Italiani in maniera politica—cioè suscitandone il consenso—Bruxelles dovrebbe secondo me proporre argomenti diversi, basati sui prevedibili effetti pratici (economici) del rispettare o non rispettare le regole nelle circostanze date. Ma probabilmente i funzionari comunitari non hanno a loro volta la cultura (politica) richiesta a questo scopo”.
Il messaggio è interessante perché pone sul tavolo almeno due questioni: “la cultura sociale” italiana, per usare l’espressione del lettore, e la comunicazione della Commissione europea quando si tratta di parlare di Italia. Comincerò dal secondo aspetto. In realtà, Bruxelles sta facendo grandi sforzi in queste settimane per sottolineare pregi e vantaggi nel rispettare le regole di bilancio della zona euro. Il vice presidente Valdis Dombrovskis ha sottolineato come un aumento del debito comporti a catena conseguenze nefaste: aumentano i rendimenti obbligazionari dei titoli pubblici ma anche dei titoli privati, mettendo in difficoltà chi ha preso in prestito (famiglie e imprese), oltre alle banche che vedono diminuire la loro forza patrimoniale.
Dal canto suo, il commissario agli affari monetari Pierre Moscovici ha voluto mettere l’accento sui costi in più del servizio del debito. Secondo Bruxelles, nonostante un tasso di riferimento pari allo zero, l’Italia spende in istruzione quanto spende per servire il proprio debito pubblico. Circa 65 miliardi di euro. Più debito non significa necessariamente più investimenti. Anzi: agli attuali livelli italiani, più debito potrebbe significare al netto di tutto meno investimenti, perché una somma cospicua deve comunque essere messa da parte per ripagare i creditori.
Magari con un linguaggio astruso e da iniziati, il tentativo della Commissione è di sensibilizzare l’opinione pubblica italiana, citando cifre, sottolineando confronti, facendo notare incongruenze. Come è possibile che uno Stato continui imperterrito a indebitarsi quando l’esperienza dimostra che la misura non aiuta l’economia; anzi, riduce le risorse a disposizione e indebolisce l’influenza politica del paese? Si deve ipotizzare che il debito pubblico sia il volano di un clientelismo duro a morire, il carburante di un assetto sociale corporativista e familistico, il prezzo da pagare per compensare una elevata evasione fiscale o per finanziare clamorose inefficienze economiche.
Nel suo commento, Mario Ferretti ha messo l’accento anche sulle differenze culturali tra l’Italia e Bruxelles, notando che nel paese “le regole non sono importanti di per sé”. È probabilmente vero. La vicenda relativa al bilancio italiano, che potrebbe portare all’apertura di una clamorosa procedura per debito eccessivo, dovrebbe indurre a chiederci se l’Italia sia riuscita in questi anni di unione monetaria a fare proprie le regole europee.
Più in generale, l’Italia non sembra avere fatto proprio neppure il principio secondo il quale sia necessario mantenere sotto controllo le finanze nazionali in una unione monetaria di stati sovrani che condividono la stessa moneta. Si deve pensare che a molti non convenga comprenderlo per continuare a usare il debito come volano del clientelismo nazionale. Ma si deve anche supporre che, a differenza che in altri paesi, non sia stata fatta sufficiente educazione economica sui giornali, in televisione e nei dibattiti politici. Il grande divario di oggi in Europa è tra chi ha capito cosa comporti l’euro e chi invece non lo ha ancora capito o voluto capire pienamente.
(Nella foto, il ministro dell’Economia Giovanni Tria, 70 anni, e il commissario agli affari monetari Pierre Moscovici, 61 anni, durante un loro recente incontro)
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