Dopo essersi rivelata euroscettica, l’Italia si sta rivelando anche razzista. Non sono sicuro che sia l’aggettivo giusto da usare. Ma tant’è. Un sondaggio del Pew Research Center ha spiegato nel giugno scorso che l’Italia è il paese europeo nel quale sono più radicati i sentimenti razzisti e xenofobi. C’è di più. Gli italiani hanno una percezione erronea, esagerata, del numero di stranieri presenti sul territorio nazionale. Secondo un recente studio demoscopico Eurobarometro, gli italiani in media sono convinti che gli stranieri siano il 24,6% della popolazione, mentre gli stranieri nel paese sono in realtà il 7% del totale.
L’analisi più frequente è che l’Italia sia stata “lasciata sola” dinanzi agli arrivi di migranti sulle sue coste. L’opinione prevalente è che il paese sia stato invaso dagli stranieri, vittima dei flussi migratori, e che la criminalità sia dirompente. Sappiamo che le cifre mostrano ormai una immagine diversa. Gli arrivi sono in netto calo; la comunità europea sta partecipando al controllo delle frontiere esterne dell’Unione (con aiuti all’Italia pari a 872 milioni di euro); e il paese – a differenza della Germania che ha accolto attivamente e da sola 890mila rifugiati nel 2015, 280mila nel 2016 e 187mila nel 2017 – ha lasciato il compito dell’integrazione alla buona volontà di alcuni sindaci e di alcune organizzazioni non governative. Che la criminalità o l’accatonaggio attirino coloro che non hanno futuro temo sia nell’ordine delle cose.
L’Italia è un paese di nuova immigrazione, poco abituato a integrare stranieri nella propria società nazionale. Ma se la xenofobia è in aumento in Italia temo vi siano altre ragioni. La prima è certamente legata alla situazione economica. Il paese soffre di una crescita debole e di una disoccupazione elevata. L’ineguaglianza salariale è terribile, così come le differenze di protezione giuridica tra le generazioni. Numerose analisi mostrano che gli immigrati non competono con gli italiani sul mercato del lavoro, se non in minima parte. Ciononostante resta radicata la convinzione che gli stranieri rubino i posti di lavoro ai nostri connazionali. In realtà, più in generale credo che l’avversione nei confronti degli stranieri in Italia sia provocata dalla consapevolezza di dover ridurre il debito pubblico. L’assistenzialismo statale è in diminuzione e l’idea di dover condividere un welfare meno generoso con una crescente comunità straniera provoca una reazione protezionistica, in un contesto reso particolarmente incerto dalla globalizzazione.
Il secondo motivo del nuovo razzismo italiano è legato all’assetto clientelare e familistico della società italiana. Per definizione, le reti clientelari sono prettamente nazionali, se non addirittura locali. Riuniscono amici, colleghi e confratelli che la pensano nello stesso modo, hanno fatto gli stessi studi, e hanno naturalmente gli stessi interessi e la stessa cultura. Nello stesso modo in cui l’euroscetticismo italiano è determinato dalla paura che l’euro richieda una modernizzazione dell’Italia e quindi l’abbandono del radicato assetto clientelare italiano, l’immigrazione è ritenuta una minaccia alle consorterie locali e alle camarille nazionali. Per sua natura lo straniero avrà studiato in scuole diverse, sarà impregnato di una cultura diversa, e non proverà alcuna automatica fedeltà di clan, almeno in un primo momento. Peggio: rischia di essere più dinamico e più intraprendente di noi autoctoni, rappresentando così una minaccia al nostro innato protezionismo.
(Nella foto, il ministro degli Interni italiano Matteo Salvini e il ministro degli Esteri lussemburghese Jean Asselborn, protagonisti la settimana scorsa di una brusca altercazione durante un vertice ministeriale a Vienna sul futuro e la natura dell’immigrazione in Europa)
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