Il titolo di questo articolo è volutamente polemico e caricaturale. Ma non è lontano dalla verità. L’Italia è un paese che si indebita per poter pagare multe le quali in fin dei conti permettono ad alcune regioni del paese di continuare a vivere tra i rifiuti e nella spazzatura. Mi spiego meglio. Da anni ormai, l’Italia ha una serie di contenziosi aperti con la Commissione europea in campo ambientale. Le regole comunitarie, approvate da tutti i governi dell’Unione, impongono ai paesi membri di gestire i rifiuti nel modo più ecologico possibile. Discariche, per esempio, sono possibili, ma in luoghi appositi e nel rispetto di alcune condizioni per salvaguardare la natura del territorio e proteggere la salute delle persone. Ebbene, da anni ormai il paese è inadempiente. Anzi è stato condannato dalla Corte europea di Giustizia e sta pagando fior fior di multe. La prima condanna risale al 2 dicembre del 2014 e riguarda la presenza di discariche abusive. La sentenza ha imposto il pagamento di una multa forfettaria di 40 milioni di euro a cui si aggiunge una penalità semestrale di 42,8 milioni di euro. La penalità semestrale è regressiva: per ogni discarica regolarizzata e contenente rifiuti “normali” vengono detratti 200mila euro, mentre per ogni discarica regolarizzata e contenente rifiuti “pericolosi” vengono detratti 400mila euro. Sono state finora regolarizzate 98 discariche, su un totale di 200. Secondo statistiche governative italiane, il governo ha già versato nelle casse della Commissione europea 162,4 milioni di euro.
L’altro contenzioso riguarda la regione della Campania. La Corte europea di Giustizia ha condannato l’Italia per il mancato rispetto di due direttive relative al trattamento dei rifiuti. La sentenza, che risale al 16 luglio 2015, ha imposto all’Italia il pagamento di una multa forfettaria di 20 milioni di euro, a cui si aggiunge una penalità semestrale non regressiva di 120mila euro al giorno per un totale di 86,1 milioni di euro. Conclusione, il paese ha finora versato nelle casse comunitarie multe per 248,5 milioni di euro, una somma che è stata presa a debito sui mercati finanziari e che sarebbe potuta essere usata per costruire una scuola, aprire una biblioteca, promuovere un istituto di ricerca, risanare un distretto economico, ammodernare un ospedale, creare borse di studio, e che invece è andata nei fatti a finanziare una cattiva e insalubre abitudine.
In questa circostanza, lamentarsi delle regole restrittive, dei tecnocrati ottusi e degli euroburocrati superpagati di Bruxelles appare fuori luogo, a meno che non piaccia vivere tra i rifiuti e inquinare la natura. E’ dalla metà del decennio scorso che l’Italia sta facendo i conti con le due procedure di infrazione citate in questo articolo. C’è di più. Nei giorni scorsi, Bruxelles ha deferito il paese dinanzi alla Corte europea di Giustizia per la mancata chiusura o ristrutturazione entro il 16 luglio 2009 di 44 discariche non più in regola rispetto alle norme comunitarie. Bruxelles ha anche ricordato al paese che è in ritardo, in alcuni casi ventennale, nel rimettere ordine nella gestione delle acque reflue. Chi continua a chiedere flessibilità di bilancio alla Commissione europea mentre l’enorme debito pubblico dovrebbe consigliare a ognuno di noi di coltivare l’atteggiamento del buon padre di famiglia, deve sapere che nei fatti sta contribuendo a questo imbarazzante circolo vizioso. Come non pensare che se ci mettessimo d’impegno a ridurre l’indebitamento pubblico si troverebbe finalmente una soluzione (anche) alle discariche abusive, che tante risorse statali stanno prosciugando? La tanto agognata flessibilità di bilancio è invece uno strumento che nei fatti finanzia tante piccole e grandi pecche nazionali.
In ultima analisi, questa vicenda conferma due sospetti. Il primo è che il debito pubblico è in fondo il riflesso delle nostre cattive abitudini: il clientelismo, il familismo, la corruzione, l’evasione fiscale e anche il disinteresse per la cosa pubblica. Siamo bravissimi a tenere in ordine la nostra casa e a spazzare dinanzi al nostro uscio, ma pessimi nel prenderci cura dell’ambiente circostante, che a torto consideriamo di altri. Il secondo sospetto è che l’Italia non sia fatta per rispettare le regole dell’Unione europea e in particolare della moneta unica. In vent’anni di euro, il paese non è riuscito, o quasi, a mettere mano alle sue debolezze: l’elevato debito, la bassa competitività, la meritocrazia inesistente, le corporazioni professionali, le associazioni baronali, i mercati chiusi, la legislazione opprimente, l’amministrazione inefficiente.
In fondo, la storia italiana degli ultimi due decenni è quella di un paese che per molti versi ha fallito la modernizzazione imposta dalla partecipazione all’euro. In molti campi, le statistiche mettono l’Italia a pari merito con la Grecia, in fondo alla classifica. La disoccupazione elevata, soprattutto quella giovanile, è un dramma sociale e generazionale che grida vendetta. Anziché attribuirne le cause in modo generico alle costrizioni della moneta unica, dovremmo riflettere se non è provocata piuttosto da un assetto sociale troppo gerontocratico, poco meritocratico, molto familistico, spesso sindacalizzato e nel quale i diritti acquisiti – non si capisce bene per quale motivo – sono ritenuti intoccabili.
(Nella foto, una vecchia targa in una strada di Roma)
NB: Dal fronte di Bruxelles (ex GermaniE) is also on Facebook