Scatteranno in giugno le attese trattative tra Londra e Bruxelles in vista dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione. E’ un momento storico per la costruzione europea. Per la prima volta dal 1957, ossia dalla firma dei Trattati di Roma, l’Unione perde un paese membro. In questi ultimi sessant’anni, il progetto comunitario ha accolto nuovi partner. Nel 1973, con l’ingresso del Regno Unito, della Danimarca, e dell’Irlanda; nel 1981, con l’arrivo della Grecia; nel 1986 con l’ingresso della Spagna e del Portogallo; nel 1995 con la presenza della Svezia, dell’Austria e della Finlandia. Nel 2004, seguono la Polonia, la Slovacchia, l’Ungheria, la Repubblica Ceca, la Slovenia, le tre Repubbliche Baltiche, Cipro e Malta; tre anni dopo è il turno della Romania e della Bulgaria; nel 2013 fa il suo ingresso la Croazia. In sessant’anni, l’Unione è passata gradualmente da 6 a 28 paesi membri. La perdita di un paese è un evento politicamente dirompente, che potrebbe provocare dubbi a livello internazionale sulla tenuta dell’Unione, tanto più che le più recenti avvisaglie lasciano intravedere negoziati tesi, difficili, incerti, con una premier britannica Theresa May che sta giocando la carta chauvinista. Non per altro la diplomazia comunitaria ha voluto mandare alle sue 140 delegazioni all’estero un vademecum con cui spiegare agli interlocutori politici nel mondo il significato e le conseguenze della scelta inglese. In ultima analisi, il messaggio da Bruxelles è che nonostante la rottura del Regno Unito “l’Unione europea rimarrà una forza economica importante”.
Secondo il vademecum, anche dopo Brexit, l’Unione resterà uno dei principali mercati a livello mondiale, con 445 milioni di consumatori e un prodotto interno lordo di 15,2 mila miliardi di euro, secondo solo agli Stati Uniti. Nel contempo, dovrebbe rimanere tra i maggiori importatori al mondo (con importazioni senza contare il Regno Unito pari a 2,38 mila miliardi di euro nel 2015, rispetto ai 2,52 mila miliardi di euro di merce importate dagli Stati Uniti). In termini di investimenti diretti, nel 2015, sempre escludendo la Gran Bretagna, l’Unione ha attirato 394 miliardi di euro/438 miliardi di dollari (mentre lo stesso anno gli Stati Uniti hanno accolto sul proprio territorio investmenti per 353 miliardi di dollari). Gli investimenti europei all’estero sono ammontati a 548 miliardi di euro/609 miliardi di dollari sempre nel 2015, rispetto ai 322 miliardi di dollari investiti dagli americani in giro per il mondo. “L’Unione rimarrà un protagonista degli affari mondiali”, si assicura quindi nel vademecum distribuito alle delegazioni europee. I dati sono impressionanti e fanno ben sperare sul futuro dell’Unione. D’altro canto, proprio l’iniziativa inglese – così controversa anche in Gran Bretagna e così complessa da mettere in pratica – ha suscitato nei Ventisette una nuova consapevolezza sui vantaggi della costruzione europea. Ciò detto, più di qualsiasi campagna diplomatica, efficace nel difendere l’immagine della UE all’estero sarà soprattutto la reazione unita dei Ventisette dinanzi a Brexit.
(Nella foto, l’Alta Rappresentante per la Politica e di Sicurezza Federica Mogherini durante un suo recente incontro con il ministro degli Esteri Serghej Lavrov a Mosca)
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