“I cavalli di guerra – diceva Jean-Jacques Rousseau – nascono sulle frontiere”. La decisione della Gran Bretagna di lasciare l’Unione europea – la notifica ufficiale è ormai prevista per il 29 marzo – mette in difficoltà l’Europa anche sul delicatissimo versante dei confini. Tre particolari frontiere intra-europee saranno chiamate a cambiare status o comunque a rivedere la loro natura con l’uscita del Regno Unito, provocando situazioni imprevedibili in un contesto già segnato da non poche tensioni nazionalistiche. La prima frontiera è quella virtualmente inesistente tra l’Irlanda del Nord e la Repubblica d’Irlanda. Il confine, tra due paesi membri dell’Unione, non esiste da quando nel 1998 fu trovato un agognato accordo di pace tra nazionalisti irlandesi e unionisti britannici. Oggi l’Irlanda teme che con l’uscita del suo vicino dall’Unione i proficui scambi commerciali si interrompano bruscamente per il solo fatto che il confine diventa frontiera esterna della UE, mettendo a repentaglio l’economia di una regione che ha assunto una sua omogeneità a cavallo tra le due nazioni (qui un recente reportage dall’Ulster). Dublino sta facendo campagna perché al momento del negoziato tra Londra e Bruxelles si possa trovare una scappatoia pur di evitare la rinascita di un vero e proprio confine che avrebbe conseguenze negative da un punto di vista economico e che rischierebbe di far riaffiorare tensioni politiche e religiose tra le due comunità. Un’altra frontiera che i negoziatori saranno chiamati a valutare al momento delle trattative su Brexit è quella tra Gibilterra e la Spagna.
La rocca sullo stretto che separa l’Atlantico e il Mediterraneo è un territorio d’Oltremare britannico. I 28mila abitanti sono sudditi britannici dai tempi del Trattato di Utrecht del 1713. Nel 2002, il 98% degli elettori ha rifiutato in un referendum l’ipotesi di affidare il territorio a una doppia sovranità inglese e spagnola. Gibilterra è in una situazione molto particolare. Come la madre patria, non appartiene allo Spazio Schengen, né alla zona euro. Curiosamente, appartiene al mercato unico ma non all’unione doganale europea, il quadro entro il quale è concretamente possibile scambiare merci nello stesso mercato unico senza pagare dazi. In questo senso, il territorio britannico ha una relazione molto particolare con l’Unione (regolata ai sensi dell’articolo 355 dei Trattati); e il suo confine con la Spagna è già frontiera esterna dell’Unione. Da Madrid è giunto l’avvertimento che la rocca non potrà godere di alcun status particolare: se il Regno Unito dovesse lasciare il mercato unico, anche Gibilterra dovrà fare altrettanto. Il terzo caso di frontiera controversa è quello che riguarda le due basi militari britanniche sull’isola di Cipro, abitate da circa 15mila persone, per metà inglesi e per metà cipriote. Eredità di un accordo del 1960 che ha sancito l’indipendenza di Cipro dalla Gran Bretagna, Akrotiri e Dhekelia sono anch’esse territori d’Oltremare britannici sotto sovranità inglese. Come Gibilterra, entrambe sono fuori dallo Spazio Schengen, ma a differenza di Gibilterra entrambe appartengono all’unione doganale del mercato unico europeo. C’è di più: nelle due basi, l’euro è moneta ufficiale. In questo senso, il confine tra le due basi e la Repubblica di Cipro non è attualmente una frontiera esterna dell’Unione, ma diventerebbe tale una volta il Regno Unito fuori dalla UE, con tutte le relative conseguenze per l’economia locale. Diplomatici a Bruxelles si chiedono se il governo cipriota coglierà l’occasione di Brexit per rivedere lo status ed eventualmente la presenza delle basi militari sull’isola mentre si negozia una difficilissima unificazione tra la Repubblica di Cipro e la Repubblica turca di Cipro del Nord. In buona sostanza e in conclusione, nei tre casi dannose divisioni tra i 27 al momento del negoziato con il Regno Unito non possono escludersi.
(Nella foto, l’ingresso della base militare britannica di Dhekelia sull’isola di Cipro)
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