I quattro principali paesi della zona euro – Germania, Francia, Italia e Spagna – si sono incontrati lunedì a Parigi per preparare insieme i prossimi vertici europei. Il primo è previsto oggi e domani qui a Bruxelles; il secondo è fissato per il 25 marzo, e deve servire a celebrare il sessantesimo anniversario del Tratttato di Roma; il terzo dovrebbe aver luogo in aprile, e deve servire a dare il via libera definitivo al negoziato per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Nella speranza dei più, la scelta britannica dovrebbe indurre i paesi della zona euro a proseguire sulla strada dell’integrazione, per evitare quella disintegrazione della UE che la decisione inglese lascia drammaticamente aleggiare. Si parla di Europa a cerchi concentrici, a più velocità, o a geometria variabile. Non sarà facile. Per almeno due motivi. Il primo è legato ai paesi che non appartengono alla zona euro. Il secondo dipende dalle diverse priorità degli stessi paesi dell’unione monetaria. Già oggi vi sono cooperazioni rafforzate in molti settori – dall’euro a Schengen -, ma il timore è che nuove cooperazioni rafforzate mettano a rischio il mercato unico. Spiega Martin Povejsil, l’ambasciatore ceco presso le istituzioni comunitarie qui a Bruxelles: “L’Europa a più velocità è un concetto rischioso. Molto dipenderà da come verrà trattato. Abbiamo già una Europa a più velocità in alcuni settori (…) Ma se questa dovesse comportare una frattura dell’Europa, e per esempio spezzare il mercato unico, sarebbe un concetto devastante”. Molti paesi dell’Est si definiscono “ayatollah del mercato unico”. Integrare ulteriormente la zona euro senza mettere a rischio gli interessi degli altri partner europei sarà difficile. Saltano poi agli occhi le differenze politiche tra i quattro paesi che si sono riuniti lunedì a Parigi a livello di capi di stato e di governo. A Madrid, il governo Rajoy è sostenuto da una coalizione di minoranza nella quale il Partido Popular paga lo scotto di numerose affaires di corruzione. A Roma e Parigi, chi doveva ridare sangue nuovo all’azione politica, dimostrare onestà e rinnovamento, e contrastare in ultima analisi i partiti più radicali è sopraffatto dagli scandali, veri o presunti. Il candidato gollista alla presidenza della Repubblica François Fillon è accusato da avere fittiziamente assunto i suoi famigliari con denaro pubblico. L’ex premier Matteo Renzi deve fare i conti con la spaccatura del suo partito, il Partito democratico, e con una vicenda di presunti favoreggiamenti in appalti pubblici poco chiara, incentrata sul padre Tiziano Renzi. In generale, l’effettico ottico è pessimo. Il confronto con la Germania è impressionante.
La Repubblica Federale è riuscita finora ad evitare di cadere nel circolo vizioso degli scandali che inevitabilmente rafforzano i partiti più radicali. Nonostante le critiche e le debolezze, la cancelliera democristiana Angela Merkel rimane solidamente in sella. L’esito delle prossime elezioni di settembre resta incerto, non fosse altro che per il ritorno in auge dei socialdemocratici di Martin Schulz, ma il rischio incarnato da Alternative für Deutschland appare sotto controllo. Il movimento euroscettico oscilla tra il 9 e l’11% dei voti nei sondaggi, ma non sembra in ascesa. Anzi, negli ultimi mesi si è indebolito leggermente nelle intenzioni di voto. Il Forschungsgruppe Wahlen, la società demoscopica di Mannheim ritenuta la più affidabile in Germania, dà il partito al 10% dei suffragi, rispetto al 13% del settembre dell’anno scorso. Proprio la diversa situazione politica nei principali paesi della zona euro lascia presagire difficoltà nel tentativo di rafforzare ulteriormente l’integrazione nell’unione monetaria. Sarà difficile mettere d’accordo partner così diversi tra loro. La situazione potrebbe cambiare in Francia dopo il voto presidenziale, anche se l’eventuale elezione di Emmanuel Macron all’Eliseo rischia di dare al paese nuove forme di ingovernabilità, in assenza di un vero partito del presidente. In generale, la crisi di molti paesi europei è evidente. E’ facile immaginare che la Germania sarà esigente nel porre le sue condizioni in vista di nuove cooperazioni rafforzate. E’ ugualmente facile immaginare che da Parigi, Madrid e soprattutto da Roma, ulteriore integrazione sarà vista con sentimenti contrastanti. Positivamente perché tutti sono consapevoli che il rischio altrimenti sia una disintegrazione della stessa unione monetaria. Negativamente perché richiederà sacrifici e rimetterà in discussione lo status quo su cui si basa oggi la società nazionale. In particolare, Berlino chiederà un risanamento di un debito pubblico che per gli italiani è diventato il volano di un clientelismo radicato. Sarà facile per l’establishment italiano criticare la Germania, accusandola di “nuovo imperialismo”. Con quanta credibilità, è tutto da vedere.
(Nella foto, Tiziano Renzi, 66 anni, il padre dell’ex premier Matteo Renzi)
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