Le ultime previsioni economiche della Commissione europea hanno mostrato come l’Italia abbia tuttora l’economia più lenta e più debole di tutta l’Unione europea. Due dati emergono dalla batteria di cifre pubblicate ieri. Negli ultimi anni, ossia da quando è nata l’unione monetaria, la produttività del lavoro in Italia è salita dello 0,6% nel 1998-2002 e dello 0,5% nel 2003-2007, per poi calare dello 0,4% nel 2008-2012. Dal canto suo, il debito pubblico è passato dal 106% del PIL nel 1998-2002 al 101% del PIL nel 2003-2007, al 114% nel 2008-2012. Da quattro anni, lo stock del debito supera il 133% del PIL. La criticabile teatralizzazione che la stampa italiana fa del negoziato in corso tra Bruxelles e Roma sul futuro del bilancio 2017 fa perdere di vista la reale situazione dei conti pubblici italiani, e forse anche l’inettitudine della classe dirigente italiana. Da settimane, ormai, una fetta dell’establishment italiano discute animatamente della richiesta dei partner europei di ridurre il deficit strutturale italiano dello 0,2% del prodotto interno lordo, pari a 3,4 miliardi di euro. Riferendosi alle richieste comunitarie, alcuni giornali nazionali parlano di “ultimatum” e alcuni leader politici di “letterine”. Nei fatti, ambedue contribuiscono ad annebbiare la realtà.
Consapevole che il costo relativo di una manovra è inferiore al costo di una procedura per debito eccessivo, il ministero dell’Economia ha messo a punto una manovra che prevede tra le altre cose un aumento delle accise. La misura è detestabile. L’Italia ha tra i prezzi della benzina più alti d’Europa perché l’accisa è uno dei pochi modi per lo Stato di assicurarsi livelli certi di gettito fiscale. Attribuire tuttavia la colpa di questa scelta al ministro dell’Economia di turno è moralmente ingiusto, oltre che intellettualmente disonesto. Tutti sappiamo che finché l’evasione fiscale non sarà combattuta seriamente, la raccolta delle tasse avverrà in modo iniquo. C’è di più. Criticando la Commissione europea perché chiede nuove misure di risanamento, e ostacolando il conseguente risanamento dei conti pubblici, alcuni leader coltivano nei fatti un uso quanto meno discutibile delle finanze pubbliche. Due aziende municipalizzate romane – i trasporti pubblici dell’ATAC e i servizi di raccolta dei rifiuti dell’AMA – sommano insieme un debito totale che è poco meno dell’aggiustamento richiesto dall’esecutivo comunitario: 2,530 miliardi di euro (secondo i bilanci del 2015). Quindi, nel contesto di una unione monetaria nel quale l’indebitamento di un paese è un onere per tutta la zona euro, non deve sorprendere né che la Bundesbank si dica delusa dalla politica economica dell’Italia negli ultimi venti anni, come è avvenuto venerdì scorso, né che i partner europei insistano perché il paese metta mano al suo debito pubblico con misure convincenti e credibili; tanto più che all’aumento del passivo in questi anni non è corrisposto un incremento della crescita.
(Nella foto, Jens Weidnmann, il presidente della Bundesbank, 48 anni, che la settimana scorsa ad Amburgo ha detto che l’Italia ha deluso le attese per il modo in cui ha gestito la politica economica in questi primi 20 anni di unione monetaria)
NB: Dal fronte di Bruxelles (ex GermaniE) is also on Facebook